Gualtiero Marchesi, 83 anni, nato a Milano e padre della ‘nuova cucina italiana’, è lo chef tricolore più noto nel mondo. Per lui questo è un periodo di svolta: ha annunciato a metà settembre che dopo 20 anni lascerà la tenuta L’Albereta di Erbusco (Brescia) nella Franciacorta, per iniziare una nuova avventura – con la formula del resort – nel Castello di Agrate Conturbia (Novara), villa gentilizia dell’XI secolo sul Lago Maggiore.
Resterà invece nel suo storico ristorante Il Marchesino del Teatro alla Scala di Milano, oltre al ruolo di rettore della Scuola internazionale di cucina italiana Alma di Colorno (Parma). Dopo una vita in cucina, a inizio ottobre il cuoco milanese è anche diventato un avatar (foto qui a fianco) per il progetto Feed for good, una piattaforma di videoricette attente alla salute e al benessere alimentare, finanziata dalla Regione Lombardia in vista di Expo 2015.
Noi però lo abbiamo incontrato dal vivo, a margine della tavola rotonda, alla Fondazione Pini di Milano Golosa (l’evento dedicato al cibo senza sprechi, da sabato 12 ottobre) con Andrea Berton, Davide Paolini, Luca Gardini. Tema: il ruolo culinario di Milano. La città ha “clienti di qualità, esigenti e competenti” per cui è “difficile replicare Peck nel mondo” dice Lino Stoppani della storica famiglia del negozio gourmet; molto più “abitudinari” secondo Davide Rampello, direttore artistico del padiglione Zero per Expo 2015.
“Fondamentalmente siamo un Paese di trattorie: serve una grande scuola alberghiera per curare il rapporto con il cliente” ribadisce Gualtiero Marchesi, “perché non abbiamo più il maître che crea l’ospitalità. È bello quando si taglia al tavolo, con perizia, una sella d’agnello o una fagianella”.
Ecco cosa ha aggiunto a Milano Weekend il ‘maestro degli chef’.
Nella Milano di oggi cosa le piace di più? E della tradizione culinaria milanese?
“Devo dire la verità, purtroppo quando vengo qui ho appena il tempo di andare al Marchesino, dove faccio la mia cucina, quello che sento. Siamo i più rinomati, Milano ha più piatti di tutti gli altri nella cucina internazionale: il risotto, l’ossobuco e la cotoletta sono importanti nel mondo. Poi i napoletani con gli spaghetti ci battono dappertutto, ma questa è un’altra storia…”
Cosa ama fuori dal contesto del ristorante?
“La commistione tra cucina popolare e alta ha creato confusione. Bisogna fare una distinzione definitiva tra l’alta cucina e la cucina che tutti vogliono fare diventare alta, senza sapere cosa fare. Quanto studio ci vuole per diventare un musicista? Non ancora un compositore… invece in cucina adesso fanno tutti i compositori! Imparino a fare le cose semplici, come i giapponesi, che a furia di ripetere una cosa – l’ho notato nel tempo – poi la fanno meglio di me. Se continui a cambiare, non impari più”.
>> LA VIDEO INTERVISTA AL GIUDICE DI MASTERCHEF CARLO CRACCO