“Tu dacci la fiducia e noi ti distruggeremo nel nome dei profitti”
Wall Street anni Ottanta: un giovane del Queens, Jordan Belfort (Leonardo Di Caprio) inizia la sua avventura di broker, è un ragazzo semplice dagli occhi grandi quanto avidi e attenti nello scrutare il mondo che lo circonda, protagonista della monumentale commedia nera di Martin Scorsese The Wolf of Wall Street, vera storia dell’ascesa e declino di un uomo che si trasforma in uno squalo della finanza.
In pochi anni il “lupo” Belfort, con un’abile tecnica da venditore d’assalto, trasforma una piccola agenzia in un impero della finanza, la Stratton Oakmont specializzata nel trading di titoli di poco conto (i Penny stocks) che sono esposti, se astutamente pilotati, a forti oscillazioni di mercato. Un’operazione in cui l’unico obiettivo è vendere e intascare il denaro ai danni dei piccoli e poco avvezzi investitori della working class. Una crescita esponenziale, un volume d’affari vertiginoso.
Scorsese, basandosi sul libro autobiografico dello stesso Belfort, trascina lo spettatore in un vortice impressionante dove soldi, sesso e droga diventano l’unica ragione di vita, in un ritmo crescente il film diventa il ritratto di un uomo votato all’eccesso. Fra orge e festini decadenti e nauseanti, allucinazioni perverse, soldi fruscianti, il regista spinge ai limiti dell’assurdo la narrazione portando sul grande schermo una screwball comedy sul mondo della finanza.
Cinque nomination all’Oscar per un film epico dotato di una massiccia dose di perversa decadenza che lo rende unico nel suo genere. Scorsese, già misuratosi con la malavita in Quei bravi ragazzi qui con accenni d’atmosfera a Una poltrona per due di John Landis va oltre nulla è sottointeso, tratteggia la cavalcata folle di una marmaglia umana risucchiata in una voragine di opulenza stomachevole, in un periodo dove tutto sembrava possibile.
Una ridda infernale di corpi umani, situazioni assurde, in cui cocaina, morfina e Quaalude vengono consumati in quantità industriali, un’ascesa ad un ritmo talmente caotico e aberrante da provocarne l’implosione, se non fosse che sotto tutto questo c’è una lucida e attenta strategia finanziaria. Un mix di sacro e profano, un baccanale distruttivo che viene improvvisamente arrestato da un agente dell’FBI, il taciturno Patrick Dehham (Kyle Chandler) modesto nel vestire e viaggiatore di metropolitane anziché di lussuose fuoriserie.
The Wolf of Wall Street è un teatro dell’assurdo, una girandola di personaggi demenziali da caricatura quasi felliniana, dove la qualità recitativa raggiunge altissimi livelli. Un Di Caprio eccezionale e istrionico, efficace nelle scene più assurde al limite di ogni comportamento umano, dà vita ad un Belfort convincente, ironico, una canaglia in preda alla sregolatezza, un Caligola dei giorni nostri, così come l’esilarante broker suo mentore Mark Hanna (un geniale Matthew McConaughey) in un dialogo da cameo con Jordan così efficace che non si fatica a prevedere rimanga negli annali della storia del cinema, in quanto a lucida stravaganza.
Sullo sfondo attori come Jonah Hill nella parte di Donnie Azoff, braccio destro di Belfort: un disgraziato arruolato nell’esercito dei truffatori; all’altezza della situazione, prezioso appoggio a Di Caprio e Margot Robbie nella bellissima seconda moglie di Balfort una Barbie assetata di lusso anche lei trascinata nel turbine degli eccessi.
Una grande prova, la storia di un uomo reale che incarna un’epoca e suoi “valori”, un film che attraverso il mulinello di follia, sul finire un po’ estenuante, ha l’obiettivo profondo di far riflettere oggi come ieri sui nostri tempi, sulla crisi mondiale e sulle cause ad essa connesse.
Voto per noi: 10