Non è un nome “nuovo” quello di Valentina Parisse nel mondo della musica.
Infatti, la cantautrice e autrice romana vanta di numerose collaborazioni con grandi artisti come Renato Zero che le ha chiesto di scrivere un brano: Rivoluzione.
Non solo, tra gli artisti internazionali, ha lavorato con Tyrone Wells, Danny Larsh e Timothy Myers.
Valentina Parisse è l’autrice della colonna sonora del film “L’agenzia dei bugiardi” di Volfango De Biasi: Tutto Cambia.
La nostra intervista a Valentina Parisse
Hai avuto la fortuna di collaborare con molti artisti importanti
Le collaborazioni, che sono nate spontaneamente, sono la benzina di chi vuole fare musica oggi e sono stata particolarmente fortunata.
Ho iniziato a lavorare in studio a 14 anni e, ed essendo una persona molto curiosa, mi è sempre piaciuto ascoltare, rendermi utile nei progetti degli altri ed è stato proprio questo che mi ha portato a scrivere per altri.
Hai scritto per Renato Zero. Come hai vissuto questa esperienza di scrivere per uno dei grandi della musica? Quanto paura, se c’è stata, hai avuto?
Tantissima! Tutto è nato con Phil Palmer: Renato Zero era curioso di sentire questa ragazza che stava collaborando lui.
Così siamo andati nel suo studio, gli abbiamo fatto sentire un po’ di cose e si è appassionato.
Renato Zero stava cercando qualcosa di energico, che rappresentasse grinta, forza, così è nata la collaborazione per il brano “Rivoluzione”.
“Tutto cambia”, “Sarà bellissimo” anticipano il tuo prossimo lavoro discografico. Come stai lavorando a questo disco e cosa dobbiamo aspettarci sia come sonorità che come tematiche.
Come tematiche senza dubbio sono molto vicine sia a come “Sarà bellissimo” che a “Tutto cambia” ed è inevitabile essere autobiografici.
Ma non solo, perché mi piace anche guardarmi intorno, osservare quello che ci circonda oggi, che ruolo e che prospettiva abbiamo noi donne e tutte quelle situazioni che ancora non “vanno bene”.
A livello di suono ci sarà tanta musica organica, alla quale sono molto legata: ci sono degli elementi veri che giocano con delle sonorità elettroniche.
Non solo brani autobiografici, dato che hai scritto la colonna sonora del film “L’agenzia dei bugiardi”. Com’è stata questa esperienza?
È nata da un incontro che ho avuto con il regista Volfango De Biasi sul set di uno spot di Alitalia.
Mi ha chiesto di fargli ascoltare qualche brano, così gli ho inviato “Tutto Cambia” e il caso ha voluto che lui stesse lavorando alle musiche del film.
Mi disse che quel brano raccontasse perfettamente il lavoro.
È partito da un incontro “umano”, non freddo: stimo moltissimo Volfango De Biasi perché ha la giusta delicatezza e profondità per affrontare certe cose.
Quindi non è stato un lavoro su commissione?
No, non lo è stato e sono contenta perché le cose più belle sono quelle che non costruisci, come le persone!
Certe volte si va in studio e si ha la pretesa su se stessi “Oggi voglio scrivere una cosa” e non esce, non c’è speranza.
Le cose più belle sono quelle spontanee.
Raccontami un po’ cosa ascoltavi quando eri a Roma e in Canada, così capiamo cosa ti trasmettono questi luoghi.
Ho sempre fatto ascolti particolari e nasce tutto a Roma e da mio papà, un collezionista di vinili: è grazie a lui che conosco molti brani del “passato”.
Quanti iaggi in macchina con papà e le sue compilation.
I miei ascolti nascono dalla black music e in Canada mi sono appassionata ad una dimensione più intima ed ho incontrato il grande amore che è Joni Mitchell e la sua “Big Yellow Taxi”.
Cosa ti è piaciuto di questo brano che ti ha fatto innamorare?
Mi è piaciuta l’intensità, mai pesante, ma delicata: è come un coltello delicato!
Non è un artista che ti arriva come un treno con un muro di suono, ma con una dimensione estremamente intima, con la sua delicatezza e la sua eleganza riesce a trapanarti il cervello.
Sempre in Canada, ho ampliato mie conoscenze musicali per cercare la mia cifra personale.
Sono onnivora: se ho un amico mi dice di ascoltare una canzone, mi segno il titolo e me l’ascolto, perché ho un grande curiosità.
Dici che la musica è condivisione, cosa intendi esattamente?
C’è una frase che riassume bene questo concetto: “Fare musica insieme è una delle più grandi forme di rispetto”.
Si condividono momenti sia quando si è in studio che sul palco, altrimenti sarebbe silenzio, anche il silenzio si può condividere, però se ti parlo è perché devo dirti delle cose.
Le voglio condividere con te, quindi la mia missione è fare delle cose che vengano accolte, ascoltate, condivise o anche non condivise, essere protesa verso gli altri.
Quindi anche essere compresi?
Quella è la massima aspirazione.
E questo ti influenza nella scrittura? Come scegli di presentare un concetto? È mai successo che c’è stato contrasto tra il “modo giusto” e come avresti voluto esprimerlo tu?
A volte pur di voler esser compresi, si semplifica, si semplifica sempre di più e alla fine ti perdi.
Non cerco la comprensione a tutti i costi, ma spero di arrivare a chi vuole recepire il mio messaggio e ovviamente con grande attenzione.
Come la scelta di cantare in italiano: è stata la spontaneità, ho sentito di essere pronta a dire delle cose nella mia lingua.
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