Dal 31 marzo apre a Milano, negli spazi di Fondazione Prada, la mostra Useless Bodies?, del duo di artisti Elmgreen & Dragset. Una ricerca mirata ad analizzare la condizione del corpo umano nell’era post-industriale. Le opere dei due artisti scandinavi occupano oltre 3 mila metri quadri degli spazi della Fondazione, fondendosi con le architetture dello spazio espositivo e servendosene per rafforzare il messaggio delle opere in mostra.
Spazio, corpo e abitazione in Useless Bodies?
La mostra è costituita da cinque ambienti: il piano terra e il primo piano del Podium, la Galleria Nord, la Cisterna e gli spazi del Cortile. Ognuno di questi scenari ospita presenze e assenze. Segni del passaggio di esseri umani, come bancomat, borse frigo, panchine e significanti che si caricano del loro significato più ancestrale: essere opera di mani e menti umane, destinati all’uso da parte di altre mani e altre menti umane.
Nella Galleria Nord troviamo un’abitazione nata per essere scomoda, inospitale e fintamente accogliente. Come patetico tentativo di attrarre sentimenti umani un cane robot e un fuoco, freddo e distante. Alcuni dettagli ci svelano che non siamo sulla Terra, che quello che percepiamo come scontrosa freddezza è il tentativo vano di ricordare il calore umano. In fondo a questo luogo fantascientifico un’angosciante scoperta: una cella di obitorio, con all’interno un corpo morto. Un dettaglio macabro, che trova quasi una coerenza estetica con il resto della navicella spaziale.
Nel piano terra del Podium troviamo l’esaltazione della figura umana, mescolando riferimenti antichi, neoclassici e contemporanei. Un’esposizione che ricorda da vicino Serial Classic, la mostra curata da Salvatore Settis che “battezzò” Fondazione Prada nel 2015. Il dialogo tra antico e contemporaneo non è banalizzato alla presenza fisica nella stessa stanza, ma è pensato come un’insieme di intuizioni e riferimenti liberi per lo spettatore, che si trova a osservare le necessità dell’arte nei secoli e lo sviluppo di questi nel linguaggio comune della scultura.
Al primo piano invece la figura umana scompare del tutto, in uno scenario che ne esalta l’assenza. Il visitatore cammina in un ufficio deserto, come se si trovasse in un’ambiente alieno. Siamo noi l’unica presenza umana sul posto, alla ricerca di piccoli oggetti, quasi dei reperti, che ci raccontino frammenti di vita di chi occupava quei cubicoli. Gli schermi neri appaiono sempre più come lapidi vuote, le scrivanie come tombe anonime a cui stiamo facendo visita da un futuro lontano.
Attraversando il cortile arriviamo infine alla Cisterna, dove Elmgreen & Dragset hanno ricostruito al meglio le sottili angosce della mente umana, con immagini che paiono fotogrammi, ricordi sbiaditi o incubi lucidi. Dallo spogliatoio riempito di elementi surrealisti che fanno sorridere e trattenere il fiato, ci si sposta nella sala successiva, dove un funambolo è catturato poco prima della caduta, mentre tiene disperatamente la corda con una mano. Quanto durerà questo stallo? Cosa possiamo fare per lui? L’immagine riporta alla mente la morte, avvenuta in diretta televisiva del funambolo Karl Wallenda, precipitato dalla sua corda nel 1978 a causa di una folata di vento.
Infine, a chiudere il cerchio, la totale assenza umana nella sua lettura più drammatica, così come immaginata dai due artisti. Una piscina, solitamente simbolo di benessere, gioia e divertimento, si presenta vuota da tempo, diventata poco meno che una discarica. Nuovamente lo spettatore si trova a camminare sulle piastrelle in punta di piedi, come se si trovasse in uno scenario alieno.
Durante la visita di Useless Bodies? l’immaginazione corre come un proiettile, il cui innesco è un gioco di pesanti assenze e presenze, che mette mette in crisi e allo stesso tempo afferma la percezione umanistica dell’essere umano al centro del mondo.