Sommario di questo articolo:
Ogni capitolo della Trilogia dell’essenziale è un tassello che racconta tanto di noi e dell’altro da sé attraverso molteplici sfumature del “gioco del teatro”. Ci teniamo a specificare che ogni spettacolo ha una propria dignità e autonomia, ma se avete modo di vederli tutti e tre (e gli addetti ai lavori di ospitarli) potrete provare un viaggio che vi porrà in gioco su più piani.
“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Vengono in mente queste celebri parole da ‘Il piccolo principe’ assistendo a questo trittico dietro cui c’è cuore e verrebbe da mutarle così: “non si vede bene che col teatro”. Questo progetto è nato dall’incontro umano e artistico tra Vinicio Marchioni (regia), Milena Mancini (scene, costumi e direzione creativa), Marco Vergani (attore) e Valentina Diana (drammaturga). Pur essendo Una passione la seconda tappa di questo percorso, ci sentiamo di poter dire che sia quella che rivela e tematizza ancor più esplicitamente il Teatro (noi lo abbiamo visto per ultimo) facendo chiudere l’ideale cerchio magico.
“Quello che lega la trilogia è l’indagine sulla solitudine, sull’alienamento dell’essere umano contemporaneo, sulla sua percezione della vita e della morte; un’indagine di cui sono protagonisti, loro malgrado, personaggi “ultimi”, “invisibili”. I monologhi hanno in comune anche la scrittura funambolica, grottesca, graffiante, cinica, tragicomica di Valentina Diana; lo spazio pressoché vuoto in cui si svolge l’azione; lo stesso attore a interpretarli; la ricerca dell’essenzialità per metterli in scena; le regie fondate sul paradosso del monologo teatrale, che indagano le possibilità di dialogo, di comunicazione con il pubblico attraverso il lavoro con l’attore, sull’attore e per l’attore.
Il progetto Trilogia dell’essenziale nasce come un rigurgito, come atto di ribellione contro le modalità di produzione e distribuzione teatrale degli ultimi anni. Contro la crisi economica del teatro e per contrastare le difficoltà di sopravvivenza delle produzioni indipendenti.
Non ci sono soldi? Torniamo a fare teatro con l’essenziale” (dalla nota ufficiale che suona come una vera e propria dichiarazione d’intenti).
L’eternità dolcissima di Renato Cane
“Come fai quando una cosa fa paura a tutti, non la vuole nessuno e tutti ne hanno paura? Come fai a venderla? Semplice, basta renderla desiderabile.
[…] Compriamo cose, le desideriamo pensando che forse ci salveranno. Ma più scegliamo, più crediamo, più pianifichiamo, più facciamo sacrifici per guadagnare, più cerchiamo riparo, meno lo siamo.
E poi si muore. La BBBtrombedelsignore ha avuto questa semplice, ma rivoluzionaria intuizione: trasformare la morte stessa in un prodotto e venderla al suo prezzo come una risorsa, un’illusione di salvezza. L’ultima”.
La morte è ancora un tabù, la reazione del nostro protagonista lo dimostra molto acutamente (ad accentuarla ci pensa il modo di muoversi e abitare lo spazio scenico). Questo monologo però ci “obbliga” a riflettere proprio su domande esistenziali e il punto di forza è che lo fa con la chiave della leggerezza. Si ride di Renato Cane, uomo qualunque, uomo come noi, ma al contempo empatizziamo con lui. A scandire tempo e silenzi ci pensano un metronomo e ‘What a Wonderful’ World nella versione per armonica cromatica di Toots Thielemans.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Tor Bella Monaca di Roma dal 24 al 26 ottobre 2019.
Una passione
La Sala Bausch dell’Elfo è sempre un valore aggiunto per certi progetti, soprattutto per l’intimità che si crea. Dalla porticina aperta (solitamente coperta dalla scena), ricavata nella parete frontale, fa capolino un uomo. Si appoggia sull’uscio, fa un sospiro (a cui daremo alla fine il valore di respiro) e lentamente entra sul palco col piede destro, quasi a sottolineare il rito che di lì a poco staremo per vivere insieme.
“Mi dispiace, adesso qui non c’è niente, ci sono solo io”, ci tiene a “scusarsi” quasi subito. Invece la sfida, il gioco e lo svelamento (vengono messi in campo e detti tutti i “trucchi” del mestiere) sta proprio in questo. Va reso grande merito a Vergani di saper suonare una drammaturgia non facile, in cui il pubblico viene trascinato e a cui viene richiesto di starci anche nei momenti più stranianti. Regia e direzione creativa assecondano l’essenzialità (letteralmente, ad esempio, non ci sono puntamenti di luci particolari) richiesta dalla scrittura, concentrandosi sulla direzione attoriale, tutto in virtù dell’amore per il Teatro e verrebbe da dire anche dello spettatore. Una parola emerge: la passione e non solo quella di Gesù Cristo che viene raccontata dall’attore, ma quella con cui si declina quest’arte dal vivo e che si vorrebbe (senza pretese, ma con un desiderio vero) risvegliare in noi che osserviamo e partecipiamo.
“Coi suoi miseri mezzi, la sua poca fede, darà voce ad un vangelo traballante e pieno di dubbi. Uno sguardo stralunato e tenero sulla crudeltà dell’uomo, sulla banalità del male esemplificata, con parole semplici e senza retorica, dall’esperimento di Milgram. Un vangelo anonimo che narra di un Gesù spericolato, che cammina in bilico, tra salvezza e spavento, come ogni essere umano” e proprio per questo lo avvicina a noi (significativa, in quest’ottica, la scena del dialogo con la Madonna). Toccante il momento in cui narra dell’ordine illogico di Erode della strage dei bambini e ce li fa vedere. Il nostro protagonista non ha volutamente un nome, eppure sottolinea come un personaggio debba averlo o quantomeno un ruolo (vedi il centurione 1 o 2) e questo perché è un uomo-un attore pronto a mettersi a servizio e a nudo in questo salto nel buio. È come il Gesù di cui parla che deve convincere il primo apostolo, il passante che si ferma a guardare la strage degli innocenti perché l’artista deve porre gli accenti laddove noi non vediamo, facendoci compiere un ideale parkourt fino a portarci a “respirare”.
La nipote di Mubarak
“Nell’epoca dell’informazione istantanea e delle fake news abbiamo l’impressione di conoscere tutto, di sapere tutto con un click sui nostri smartphone. Le nostre coscienze di brave persone sono pacificate dai nostri piccoli grandi gesti di adesione o disapprovazione dei fatti. Abbiamo l’impressione di avere un’idea su tutto. Abbiamo persino l’impressione di esprimere un’idea su tutto. Ma nella realtà tutto accade al di sopra e al di fuori di noi, in un mondo che esiste altrove. Non sul web. Nelle piazze, nelle strade, nelle case, nelle prigioni dove la gente muore davvero. Il mondo ci sfugge, perché lo cerchiamo nel posto sbagliato” (si legge nella scheda). E ancora una volta il teatro ci viene in soccorso. Una precisazione: non fatevi ingannare dal titolo.
Abbiamo avuto la possibilità di assistere a questo monologo in Sala Shakespeare durante la rassegna Nuove Storie (direzione artistica di Francesco Frongia) e questo ha permesso di ribaltare le prospettive, utilizzando la scatola magica per metterci anche fisicamente in scena. Ha il suo effetto essere sul palcoscenico (lungo i tre lati), frontali alla platea che a suo modo è protagonista perché una voce si leva – in apertura e chiusura – (stando lontana da facili moralismi) e cattura la nostra attenzione. “Non tutti sanno amarsi davvero […] è quando vuoi bene a qualcuno che, se muore, ti dispiace per davvero”.
Un rumore di passi e da dietro le quinte arriva l’attore, interpreta un conduttore di Radio libera, è un “ladro di storie” e ce le restituisce. Lo ascoltiamo mentre ci racconta i suoi dialoghi con il gestore che gli prepara il kebab anche in tarda serata (sei certo che sarà aperto). Al centro del palco c’è una piramide realizzata con delle corde, i cui limiti vengono varcati solo in un preciso momento. A un tratto, dopo che si è riso, arrivano i contraccolpi (merito anche dei silenzi, dei gesti e degli accenti pe(n)sati). Il registro cambia e ci chiama ancor più in causa, guardandoci negli occhi per farci guardare dentro e al di là dei nostri confini. Si tocca la materia incandescente e attuale dei diritti umani, completamente calpestati dall’ascesa al potere di Al Sisi. E rispetto al caso e al volto mostratoci davanti, dopo avercelo avvicinato grazie a un “semplice racconto”, il pensiero non può non andare anche a Giulio Regeni.
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta: dall’essermi messo in condizione di non avere niente da perdere, e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con il lettore” scriveva Pier Paolo Pasolini in ‘Scritti Corsari‘. Traslando alla nostra situazione, verrebbe solo da mutare la parte finale… “e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con lo spettatore”.
“Il respirare… e poi anch’io me ne esco nel buio, di qua, senza fare rumore”
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Ci permettiamo una piccola parentesi in merito al fatto che l’Elfo Puccini abbia deciso di farsi casa per la trilogia e per i singoli spettacoli. Immaginiamo che questo non sia dovuto solo all’attenzione verso la drammaturgia contemporanea, ma anche alla capacità di fare rete e alla volontà di coltivare talenti (Vergani è stato spesso scritturato all’interno delle produzioni realizzate dai due direttori artistici). Così come è apprezzabile la volontà di Marchioni e della Mancini di impegnarsi nel coltivare questo teatro essenziale parallelamente alle grosse produzioni e agli altri linguaggi, prodigandosi anche in prima persona sul piano produttivo (hanno fondato la Anton Produzioni). Questa trilogia respira dell’unione artistica e umana di ciascuno di loro e – ci permettiamo di azzardare un pensiero – non avrebbe il medesimo valore e la stessa onestà di intenti se fosse portata in scena da altri.
Riassumendo
Trilogia dell’essenziale, dal 15 al 20 ottobre 2019
Questa, nello specifico, la distribuzione degli spettacoli nella settimana all’Elfo: 15 ottobre ‘L’eternità dolcissima di Renato Cane‘; 16 ottobre ‘La nipote di Mubarak‘ e dal 17 al 20 ottobre ‘Una passione‘.
ORARI: lunedì riposo; da martedì a sabato h 19,30; domenica h 15,30
PREZZI: intero 33€; martedì posto unico 22€ rid. giovani e
anziani 17€; under18 13,50€