Il Robocop 2.0 riparte dal volto di Joel Kinnaman (protagonista della serie tv The Killing): il suo sguardo atterrito si sposa perfettamente con la sofferenza di un uomo la cui parte organica viene ridotta – dopo il classico attentato – a una testa e due polmoni, inseriti a sua insaputa in un’armatura cyborg per creare l’invincibile tutore dell’ordine.
“I’m the first of my kind. Half man, half machine”, metà uomo e metà macchina. Ben 27 anni dopo l’originale Robocop, Il futuro della legge, arriva oggi nelle sale italiane il reboot della saga. Kinnaman si impegna in un coraggioso confronto con l’interpretazione di Peter Weller: ironicamente quest’ultimo dichiarò lo scorso settembre che “dovrebbe esistere una lista di film intoccabili”.
Il nuovo scenario: siamo nel 2028, i mega robot sono impegnati a “mantenere l’ordine” a Teheran, passando alle scanner le pupille di impauriti viandanti e bambini e affrontando kamikaze iraniani, ma ci pensa l’imbonitore televisivo Pat Novak (sconvolgente la parrucca di Samuel L. Jackson) a convincere gli americani della necessità di sostituire i poliziotti umani con questi macchinoni, in ogni Stato dell’Unione.
Il tema è: chi ha il controllo dell’uomo-macchina? L’aspetto più inquietante, in fondo, è che il Robocop del 2014 può essere spento da chi l’ha creato, in qualsiasi momento. La sua coscienza e le sue emozioni possono essere modificate con una craniotomia o alterando il livello di dopamina.
Robocop, che nell’originale guidava una Ford Taurus, oggi passa alle due ruote, come l’ultimo Batman (The Dark Knight di Christopher Nolan, 2008). Il nuovo cyber poliziotto sfoggia un look che ricorda il supereroe creato da Kane e Finger. Impossibile quindi non pensare alla saga di Gotham City, anche per la presenza di Michael Keaton, immortale uomo pipistrello nel film di Tim Burton (1989) qui trasformato in cinico villain che mira a inondare gli Usa con i suoi cyborg.
Da buon action movie anche il Robocop 2.0 fa ampio uso della soggettiva, accentuata dalla generazione gaming dei videogiochi sparatutto alla Call of Duty. Non mancano i cliché familiari atti a smorzare la tensione: l’eroe torna a casa tra le braccia della bella moglie bionda e del figlioletto che lo attende per guardare insieme la tv.
Hollywood ama ripetersi e rivendere i suoi eroi, tre decenni dopo (ci aveva già provato Stallone con Rocky): sia ai 40enni nostalgici che ai nuovi teenager, cresciuti con i personaggi Marvel. Forse il remake di Josè Padilha non piacerà a tutti i fan del cult di Paul Verhoeven, ma è un prodotto che ha i suoi aspetti più apprezzabili proprio nel modo in cui traspone la storia ai giorni nostri, tornando sul tema della manipolazione della mente umana e della libertà di arbitrio. Matrix è vivo, il finale un po’ meno.
La frase: “Ok, spegniamolo”
Voto per noi: 6,5