Lui è Matteo Achilli (Andrea Arcangeli), classe 1992, all’epoca diciottenne di borgata. Ragazzo, come si dice, “smart”. Matteo è un liceale che, come i suoi coetanei, si imbatte nel mondo del lavoro con le sue regole, un mondo fatto di prede e predatori, un mondo competitivo. Matteo ha un padre licenziato che non ha agganci, così il ragazzo deve decidere se soccombere o lottare.
Alessandro D’Alatri è il regista di The startup (in uscita il 6 aprile) la storia di un giovane che oggi ha 24 anni. Definito da una parte della stampa nazionale lo “Zuckerberg italiano”, ha creato invece numerose perplessità e polemiche tra gli esperti di tecnologia e startup, tali da accendere un forte dibattito sul reale valore dell’impresa e dubbi sulla “costruzione mediatica” del caso. Un confrotno che si è rinfocolato proprio in questi giorni, a causa dell’imminente ‘uscita del film.
Matteo, dopo l’ennesima ingiustizia subita a opera del raccomandato di turno, un giorno decide di “accendere il suo futuro”, inventare un social network che metta in contatto chi cerca lavoro e le aziende, ma con una differenza: usando dei parametri di merito come esperienze, titolo di studio e competenze, il tutto calcolato matematicamente da un algoritmo. Un metodo per abbattere il clientelismo. Nasce Egomnia.
Dal mondo di borgata romano al patinato ambiente milanese bocconiano popolato da figli di papà, il salto è breve. Un ragazzo neo studente, grazie alla liquidazione del padre, iscritto in economia, su cui prima né banche né società avrebbero scommesso, o piuttosto avrebbero sfruttato, spinto dai suoi amici universitari, riesce ad entrare nei giri giusti. Matteo con l’aiuto di un ingegnere informatico, Giuseppe Iacobucci (Luca di Giovanni), romano, riesce a lanciare la sua Egomnia e a fare il boom di iscrizioni, fino ad arrivare alle copertine dei più autorevoli magazine.
Un’ascesa. The startup vuole essere prima di tutto l’esempio del “self made boy” e su questo D’Alatri è molto chiaro. Un argomento sentito dai giovani che spesso per affrontare la realtà hanno due opzioni: alzare la testa per vedere più lontano degli altri o abbassarla. Ma ciò che non sfugge al regista è che Matteo, suo malgrado, alza la testa talmente in alto che a volte non vede chi gli sta vicino, rimanendo concentrato su se stesso. Scotto che affligge i visionari? Forse. Fatto sta che sul finale il film risente un po’ dei cambi di registro. Michele tradisce decisamente la sua natura, piegandosi alle esigenze di sceneggiatura in un cambio caratteriale forse un po’ marcato, rispetto allo sviluppo del protagonista e al suo contesto.
Va comunque detto che, seppur con alcuni cliché leggermente abusati che tratteggiano le differenze fra le atmosfere romane e quelle meneghine, The startup è convincente e non si perde in preamboli. Il film affronta un tema importante, croce di una società che non sa dare risposte né speranze a giovani sempre più afflitti, tema ormai particolarmente sentito e ampiamente affrontato nel cinema nostrano. D’Alatri ha portato un esempio apprezzabile di un giovane sagace e fortunato, in una lotta alla sopravvivenza, quella del mondo reale.
Buona la performance dei giovani attori emergenti, da Arcangeli a Paola Calliari, a Matilde Gioli, con una recitazione naturale e apprezzabile. Da segnalare Luca di Giovanni, che è riuscito a tradurre un ruolo spontaneo e complesso, l’antitesi del Matteo egocentrico, in Giuseppe, un ragazzo che scopre il proprio valore poco alla volta.
Voto per noi: 6,5