Il confine tra il Messico e gli Stati Uniti è una linea rossa di sangue, alimentata dai cartelli della droga e popolata da disperati in cerca di fortuna, narcotrafficanti e forze speciali americane. Qui il commercio di droga si è diffuso come una metastasi, generando anarchia e corruzione.
È il mondo senza regole che fa da sfondo a Sicario, il thriller poliziesco di Denis Villeneuve (al cinema dal 24 settembre), interpretato dal premio Oscar Benicio del Toro, affiancato da Emily Blunt e Josh Brolin.
In una imboscata dell’FBI, la giovane agente Kate Macy si ritrova in una “casa della morte” del cartello messicano: davanti a lei lo spettacolo di decine di cadaveri murati con la testa sigillata in sacchetti di plastica. Lo shock le lascia pesanti conseguenze e lei, pur essendo esperta in rapimenti, quando viene scelta come agente specializzato per combattere i narcotrafficanti, decide di partire.
È così che intraprende il suo viaggio verso Juarez, nel cuore del cartello della droga, e si ritrova all’interno di un mondo oscuro e insanguinato, una giungla senza regole, nemmeno per i servizi segreti statunitensi. Accanto a lei ci sono l’agente speciale Matt Graver e un misterioso operativo colombiano conosciuto solo come Alejandro.
I tre personaggi si ritrovano a fare i conti con un altro confine: quello morale. E se Matt, il funzionario senza scrupoli interpretato da Josh Brolin, è perfettamente a suo agio in un mondo totalmente corrotto, Kate – una Emily Blunt vicina al personaggio della combattente delle Special Forces in Edge of Tomorrow – è al tempo stesso capace di sentirsi coinvolta (e sconvolta) da quello che vede.
Tra loro si colloca idealmente Alejandro: il sicario, la “pietra angolare” del film, un uomo che porta sul volto e sul corpo la storia della guerra contro il traffico di droga, una guerra che combatte anche per chiudere un pesantissimo conto personale.
Villeneuve sceglie di addentrarsi in territorio americano, mettendo in crisi l’idea che gli Stati Uniti possano risolvere i problemi più gravi del mondo in modo efficace: “Un tempo era un pensiero confortante, ma il mondo sembra essere diventato sempre più complicato”, dice il regista.
Emblematica la sensazione di insicurezza che domina tutto il film: le scene perturbanti, sostenute dalla fotografia di Roger Deakins, la morte “facile”, presente in ogni momento del film e lo sguardo di Kate, testimone impotente di una situazione ingovernabile e rappresentativo del nostro sguardo di fronte a un mondo preda di pericolosi squilibri.
Il nostro voto: 7
Una frase: “Qui c’è solo buio amico mio”