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Ride, l’opera prima di Valerio Mastandrea commuove – ma non solo. La recensione

Ride Valerio Mastandrea recensione
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Negli ultimi tempi, si parla spesso di esordi dietro la macchina, ma ciò che molto probabilmente fa la differenza è quanto sia sentita la storia che l’artista vuole raccontare (oltre, certo, alle competenze acquisite). Nel caso di Ride, opera prima di Valerio Mastandrea sembra proprio che l’attore romano avesse un forte bisogno di tematizzare certi temi, ma da un altro punto di vista.
Nel passaggio dietro l’obiettivo della macchina da presa, non perde assolutamente quel tocco leggero e delicato che lo contraddistingue quando è davanti. Apprezziamo in primis la scelta di aver voluto lasciar spazio agli attori (senza inserirsi tra questi), tutti giusti nella parte, a partire dalla protagonista, Chiara Martegiani.

Quando il lungometraggio ha inizio il fatto “scatenante” è già accaduto: il compagno di vita e padre di famiglia è morto sul lavoro. Nei primi secondi osserviamo a macchina fissa e con una giusta distanza la moglie e il figlio Bruno (molto spontaneo Arturo Marchetti alla sua prima interpretazione). “Mi devo vestire di nero?”, chiede quest’ultimo alla madre? – la risposta ve la lasciamo scoprire durante la visione.

Il tasto dell’elaborazione del lutto è stato spesso toccato nel cinema (come non ricordare il toccante ‘Manchester by the Sea’), compreso quello nostrano (tra gli ultimi titoli ricordiamo ‘Il bene mio’ di Pippo Mezzapesa), eppure Mastandrea (anche co-sceneggiatore insieme a Enrico Audenino) riesce ad aggiungere qualcosa dal sapore personale e, al contempo, universale proprio per quella cifra che lo caratterizza.

Da quando Mauro Secondari è morto, cadendo all’interno della fabbrica che da generazioni dà lavoro alla gente del posto, Carolina, rimasta sola col figlio di dieci anni, non riesce a piangere e si chiede perché. Surreale e, al contempo, molto significativa è la sfilza di persone che la vanno a trovare, dalla ex di Mauro – a cui dà corpo Silvia Gallerano – alla coppia di amici –  interpretati dai bravi Milena Mancini e Giordano De Plano – passando per la vicina resa simpaticamente da Milena Vukotic, la quale le ricorda: “tu non devi smettere di essere una donna solo perché ti è morto il marito”.

In questo ritratto profondo di come ognuno di noi faccia i conti con l’assenza, per altro improvvisa e inaspettata della persona amata, si inseriscono le figure del fratello di Mauro, Nicola (un Stefano Dionisi davvero in parte anche nel rendere le ombre e i silenzi) e del padre Cesare (un Renato Carpentieri che dimostra ancora una volta il suo spessore attoriale).
Con Ride ci si commuove per quel dolore che non è facile metabolizzare, ma si sorride anche assistendo, ad esempio, alla scena in cui il bambino prova con l’amico il siparietto per “soddisfare” i tg e avere un tornaconto (nell’accezione più genuina del termine se la rapportiamo a quell’età e soprattutto se guarderete il film).

“L’epoca che ci è toccata, specie questi ultimi trent’anni, ci regala la possibilità di vedere e sentire tutto amplificando in maniera esponenziale la nostra percezione del mondo e nello stesso tempo depotenziandoci emotivamente rispetto al tutto che incontriamo. Questo accade per le cose belle ma anche per le cose che ci fanno soffrire. Il rapporto col dolore è il vero dramma dei nostri giorni: è plasmato dal modo di approcciare che ci viene suggerito in maniera nascosta, subdola e ricattatoria; è condizionato da fattori esterni come può essere l’emozione collettiva rispetto ad un fatto di cronaca. […] In Ride Carolina subisce passivamente proprio l’indignazione degli altri e l’attenzione di media, gente comune e autorità, sin dal giorno dell’incidente in fabbrica dove è saltato in aria l’amore della sua vita. Negli anni della ricerca costante della felicità dobbiamo anche chiedere il
permesso per stare male come si deve. A pensarci bene è logico. Solo abitando
davvero il buio possiamo farci accecare dall’amore per la vita”, ha dichiarato acutamanete Mastandrea. La sua regia dà letteralmente spazio alla storia e alle persone che le danno vita, permette di respirare le emozioni che sgorgano dalle parole ma anche da quegli sguardi e dalle azioni che raccontano tutto. Non è un caso che il lungometraggio sia dedicato “a chi resta”. Post visione, tocca a noi chiederci e rispondere personalmente a questo interrogativo: quanto è difficile entrare in contatto con le nostre emozioni?

Dopo esser stato presentato in concorso alla 36esima edizione del Torino Film Festival, il film è nelle nostre sale grazie a 01 Distribution.

Ride di Valerio Mastandrea: il trailer

Il nostro voto

7

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