Alzi la mano chi conosce la storia di Edgardo Mortara. Pochi, ovviamente. Sì, perché questa è una storia italiana ottocentesca tanto sconosciuta ai più quanto assurda. Ma sapientemente riportata alla luce da Marco Bellocchio e la sua ultima opera, Rapito, nelle sale dal 25 maggio grazie a 01 Distribution.
Presentato al Festival di Cannes, il film del regista piacentino ha avuto un’ottima accoglienza ed è in lizza per i premi più prestigiosi della kermesse.
Rapito è una produzione IBC Movie e Kavac Film con Rai Cinema in coproduzione con Ad Vitam Production (Francia) e The Match Factory (Germania), ed è prodotto da Beppe Caschetto e Simone Gattoni, coprodotto con la partecipazione di Canal +, Cine’ + e Br/Arte France Cinéma in associazione con Film-und Medienstiftung NRW con il supporto di Région Ile-de-France.
La trama
Edgardo Mortara è il sesto degli otto figli di Salomone Mortara e Marianna Padovani, famiglia ebrea bolognese. Il 23 giugno 1858 il piccolo Edgardo viene prelevato dalla Gendarmeria Pontificia per ordine di Papa Pio IX, strappato alla sua famiglia e condotto a Roma per essere allevato dalla Chiesa.
Il motivo? Il battezzo coatto di Edgardo da parte di Anna Morisi, cameriera (di fede cattolica) di casa Mortara. Credendolo in fin di vita per una malattia, la giovane domestica ha battezzato il neonato, all’insaputa dei genitori, per timore che da morto finisse nel limbo.
Per la Chiesa, dunque, Edgardo era un cristiano. Le leggi pontificie vietavano agli ebrei di allevare cristiani, così il piccolo Edgardo fu portato presso la Casa dei Catecumeni e lì cresciuto secondo i dettami cristiani.
A nulla valsero le esortazioni a Pio IX della comunità ebraica di Roma, le indignazioni dei paesi europei, degli atei e di molti nomi del mondo cattolico. Il non possum del papa fece il resto.
La religione e la famiglia secondo Bellocchio
Marco Bellocchio firma la sceneggiatura di Rapito insieme a Susanna Nicchiarelli, con la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli. I due temi tanto cari al cineasta emiliano ritornano e si fondono con una forza evocativa che tiene incollato lo spettatore.
La famiglia come nido, lido confortevole e la religione come mero strumento di potere nelle mani del “Papa Re” Pio IX (interpretato splendidamente da Paolo Pierobon). Un papa cinico e perverso, consapevole dell’irrimediabile caduta del suo impero ma indisponibile a darla vinta ai suoi “nemici”. Il rapimento di Edgardo Mortara, in tal senso, è un chiaro segnale politico.
Dipinto dalla splendida fotografia di Francesco Di Giacomo, Rapito si muove tra luci e cupezza in un continuum affascinante, quasi caravaggesco. Quella stessa oscurità illuminata dalle candele e dagli occhi magnetici di una bravissima Barbara Ronchi nel ruolo della madre di Edgardo.
Un plauso anche agli ottimi Fausto Russo Alesi, il signor Mortara, Filippo Timi e Fabrizio Gifuni, nei ruolo del cardinale Antonelli e di Padre Feletti. Da segnalare, infine, le interpretazioni perfette del piccolo Enea Sala, nel ruolo di Edgardo bambino e Leonardo Maltese in quella di Edgardo da giovane sacerdote.
Rapito, insomma, cattura con una sequenza di immagini potenti e una ricostruzione storica minuziosa, in un affresco di grande impatto visivo ed emozionale.