“Sono un siciliano atipico”. Si autodefinisce così Giuseppe Rinaldi, in arte Kaballà, cantautore in proprio – come testimonia e rivendica con orgoglio la recente ripubblicazione del suo iconico album d’esordio, “Petra Lavica” (1991) – e autore per molte voci famose della scena nazionale e oltre: Eros Ramazzotti, Mario Venuti, Anna Oxa, Antonella Ruggiero, Baustelle, Irene Grandi, Nina Zilli, Alex Britti, Ron, Andrea Bocelli, Josh Groban, Placido Domingo…
Una laurea in giurisprudenza nella natia Catania appesa al chiodo dopo alcuni anni di fattivo esercizio della professione di avvocato a Milano, dove vive stabilmente dalla fine degli anni Settanta, Pippo, come lo chiamano semplicemente gli amici, aveva un sogno e l’ha realizzato qui, nella capitale della discografia, senza rinnegare però le sue radici, che con il tempo anzi si sono rafforzate in un proficuo e continuo scambio di esperienze musicali, artistiche, intellettuali.
Quale fu, all’epoca, la spinta che ti convinse a cambiare aria e città?
“La Sicilia di allora per varie ragioni mi andava stretta: ne amavo visceralmente la cultura, la lingua, la solarità, ma non mi piacevano i suoi “gattopardismi”, quelle modalità di interazione sociale che noi siciliani di un certo tipo soffriamo. E Milano mi ha accolto come una madre adottiva. Lo fa con tutti e con me è stata particolarmente generosa, permettendomi di far fiorire la mia vocazione lasciando a un certo punto gli studi legali per dedicarmi esclusivamente alla scrittura e alla produzione per la scena musicale“.
“Nella città italiana più “vicina all’Europa”, come cantava Dalla, mi sono trovato subito bene: qui – prosegue – ho fatto famiglia, i miei figli sono milanesi, pur con sangue siciliano, il mio lavoro e la mia vita sono qui, anche se l’antica frattura con la mia terra di origine si era risanata già molti anni fa, proprio grazie all’album rimasterizzato oggi e reso disponibile anche in un’edizione speciale Warner Music Italy, a tiratura limitata, rivolta agli appassionati del vinile“.
Cosa accadde esattamente?
“Intorno al 1990, grazie una serie di trasferte e incontri fortunati, mi stavo riconciliando con la Sicilia. Il segno più forte di questa pacificazione sentimentale fu dedicarle un lavoro musicale, utilizzando il dialetto e le sonorità mediterranee ma contaminandoli con il mio gusto personale: non venivo dalla tradizione folk, la mia formazione erano il pop, il rock, la musica psichedelica, con un orecchio naturalmente a quella che chiamavamo la ‘world music'”.
“Un progetto quasi alchemico – prosegue l’artista – caratterizzato dal mio nome d’arte, Kaballà, affibbiatomi da Massimo Bubola, e definito in una recensione dell’epoca “un viaggio musicale dove Milano dialoga con Catania passando da Algeri per arrivare a Dublino fra affascinanti panorami mediterranei, tutto azzurro e rosso fuoco, e mari tempestosi e onde sotto il cielo nuvoloso d’Irlanda”.
Quali sono i rapporti artistici e umani più importati della tua carriera di co-autore dei successi altrui?
“Senza nulla togliere al ruolo di ciascuno dei grandi artisti che abbiamo citato, è chiaro che con Mario Venuti, con cui abbiamo condiviso la costruzione di una decina di album, il rapporto di stima e amicizia è al top. E il legame con la Sicilia si è rinsaldato in anni più recenti anche grazie all’incontro con le diverse, straordinarie personalità di Mario Incudine, attore e musicista a tutto tondo, e di Antonio Vasta, con cui ho appena terminato la colonna sonora del nuovo film di Luca Barbareschi, che contiene anche quattro pezzi di “Petra Lavica”, e che mi accompagna al pianoforte nel mio “Viaggio immaginario nella Sicilia della memoria”, un reading con letture (da Tomasi di Lampedusa, a Vittorini, a Sciascia), canzoni e immagini di film girati nella nostra isola“.
“A Milano – prosegue Kaballà – posso annoverare fra i miei amici Francesco Bianconi, leader dei Baustelle (ho avuto la sfrontatezza di farlo cantare in siciliano e con lui ho collaborato anche all’ultimo singolo di Irene Grandi): ci incontriamo spesso anche solo per parlare di tutto ciò che ci appassiona, politica compresa“.
Spesso sei stato chiamato a supportare la parte letteraria delle canzoni…
“Sì, mi riconoscono quest’abilità e quindi, inevitabilmente, mi sono ritrovato a lavorare maggiormente, anche se non in esclusiva, sul versante dei testi. Ciò che una volta distingueva distingueva l’attività del “paroliere”, termine che non mi piace affatto e per fortuna non si usa più. Scrivendo anche per molte artiste donne, ho cercato di immedesimarmi nella psicologia femminile, senza rinunciare a una mia cifra stilistica: ci sono riuscito quando ho trovato un punto di equilibrio“.
Cosa ti aspetti ora da questa rinascita del tuo album d’esordio, tenuta a battesimo, tra gli altri, dal discografico di fiducia Stefano Senardi e da Alex Peroni, il popolare dj e conduttore che 33 anni fa contribuì al suo successo lanciandolo in radio?
“Navigo in questo mondo da quarant’anni e dopo i primi dieci da “cantautore” sono passato per così dire dall’altra parte della barricata, mettendo la mia penna e le mie capacità al servizio di altri, senza mai perdere del tutto la voglia di esprimermi in prima persona. Mi affascina la possibilità che venga riscoperto – cercandolo sulle piattaforme digitali o trovandolo fra i regali messi sotto l’albero dai fratelli maggiori – un patrimonio musicale che è stato riconosciuto come “importante” e che forse ha ancora molto da dire per la modernità dei suoni di cui è intriso (esaltati dall’intervento sui master analogici originali ingegnere e produttore del calibro di Rodolfo “Foffo” Bianchi e da suo figlio Tommaso) e dei temi che affronta“.