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Parthenope, Sorrentino crea un affresco di bellezza e miseria. La recensione

Luigi Maffei 2 mesi fa
Parthenope foto di Gianni Fiorito
Foto di Gianni Fiorito

Paolo Sorrentino prosegue il racconto “intimo e personale” su Napoli. Il film numero dieci del regista premio Oscar è Parthenope, un titolo che è tutto un programma.

Presentato all’ultimo Festival di Cannes, concorrente alla prestigiosa Palma d’oro, il nuovo lavoro di Sorrentino uscirà nelle sale italiane il 24 ottobre distribuito dalla novella Piper Film.

La trama

Nel 1950 a Napoli viene al mondo una bimba a cui viene dato il nome di Parthenope, come l’antico appellativo della città. Data alla luce nelle acque del mare di fronte alla casa paterna di Posillipo, Parthenope cresce bella e seducente, una condizione che la porterà a scoprire il mondo e a farci i conti.

La sua storia abbraccia un periodo che va dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, passando per il 1973, annus horribilis per l’epidemia di colera.

Parthenope ha fame di vita

Sorrentino ritorna a parlare a modo suo di Napoli, due anni dopo È stata la mano di Dio. Un discorso personalissimo, tra sogno e realtà mescolando alto e basso, tra le terrazze di Posillipo e la povertà delle viuzze fatiscenti del centro.

Parthenope incarna Napoli: bella e ammaliante, amata e desiderata da chiunque, dagli scrittori alle alte sfere ecclesiastiche. Riuscirà la sua bellezza a illuminare anche i vicoli oscuri dei bassi, tra famiglie malavitose che si alleano e il colera che circola?

La protagonista cammina, respira e vive tutte le sfaccettature della città e dei suoi personaggi. Decisa a imparare il mondo, a curiosare perché “non sa nulla”. Una vera e propria affamata di vita.

Sorrentino ci regala un affresco di immagini e sensazioni contrastanti di Napoli, del mistero che la avvolge da millenni. Acqua, sale e luce gli elementi primari, in un tourbillon di sesso e miracoli, eros e thanatos. Parthenope conquista e si lascia godere.