Segnate: One Night in Miami. Sarà il film più discusso e apprezzato dei prossimi mesi. Al lido di Venezia, dove per la Mostra del Cinema è stato presentato Fuori Concorso, ha mietuto consensi. Il suo segreto? Racconta un evento passato di cui, oltre a sapere poco, abbiamo particolarmente bisogno.
Tratto da una storia vera
Una notte a Miami, ma non una qualsiasi. 1964, Cassius Clay (Eli Goree) ha sconfitto sul ring Sonny Liston in uno dei match più noti della storia della box. Per festeggiare, trascorre qualche ora con degli amici d’eccezione: Malcom X (Kingsley Ben-Adir), Sam Cooke (Lesli Odom Jr.) e Jim Brown (Aldis Hodge). Sono i giorni caldi che precedono le battaglie della comunità nera. Il razzismo è sistematico. Come oggi ma con meno attenzione mediatica. Per contestualizzare, One Night in Miami inizia con un prologo frammentario in cui i singoli personaggi si presentano nei loro ambienti. Jim Brown era all’epoca il più grande giocatore della NFL, la lega professionistica nordamericana di football. Quando va a salutare un vecchio coach ascoltiamo grandi elogi, spropositati complimenti e un agghiacciante saluto: “mi spiace, non facciamo entrare i negri in casa”. Il film di Regina King, adattamento dell’opera teatrale di Kemp Powers, non ci gira attorno e arriva come uno schiaffo. Questo è il tenore della vicenda. I protagonisti appartengono a una comunità fortunata. Sono ricchi e famosi. Ma non sono esclusi dal paradigma dominante. Per questo pensano di dovere qualcosa al futuro, anche se non sono tutti d’accordo sui modi della lotta.
A change is gonna come?
Quella notte a Miami cambia tutto. Malcom X è pronto ad annunciare la conversione di Cassius all’Islam, con cui spera di condurre una battaglia ancora più serrata al sistema. Manca però unità e nascono dei dubbi sull’intransigenza di Malcom. Il personaggio che già Spike Lee ebbe modo di approfondire ci viene raccontato con attenzione alle sue debolezze e ossessioni. Spesso lo vediamo guardarsi attorno con sospetto. L’idea che qualcuno lo segua non si rivelerà infondata. In una notte lunga una vita gli amici accendono uno strenuo dibattito sul futuro della comunità nera. Qui nasce il Black power. Qui nasce Muhammad Ali. Qui nasce la splendida “A change is Gonna come”. Inno politico – in verità composto l’anno precedente della vicenda narrata – mai così attuale.
L’importanza, e la bellezza, di One Night in Miami è nell’incastro di parole. Il set è semplice, una misera stanza d’albergo in cui Regina King, qui alla sua prima regia, denota capacità di controllo. Non perdiamo mai di vista nessuno, seguendo dibattiti organizzati in più direzioni. Cassius e Malcom. Sam e Malcom. Cassius e Jim. Tutti gli incastri si realizzano per svelare idee, debolezze, intenzioni. Malcom è l’estremista. Ma non manca di contraddizioni. Attacca Sam, accusato di vivere dei soldi dei bianchi ricchi. Ma lui non ci sta e racconta il tentativo di lottare grazie al successo musicale. Come ne “il giovane Karl Marx” di Raoul Peck, il film di Regina King sottolinea l’imminenza di una battaglia a partire dalle sue divisioni interne. Non è il fronte unito, perché è il racconto di “un momento troppo importante” per non essere divisivo.
Nei dialoghi però un messaggio al presente. Nell’anno in cui Black Lives Matter porta al centro l’importante lotta per la parità, One Night in Miami funge da monito: discutete, litigate, trovate una via. Nel contrasto la chiave per interpretare i tempi. Relazionandosi al presente, ma senza sovrascriverlo, Regina King non si affida a facilonerie. Non è la retorica toccante ma spiccia di “Green Book”. È il complesso intreccio ideologico che siede dietro ogni battaglia sociale.