A Porto Buio, una piccola isola del Mediterraneo, sono alle prese con la preparazione del Presepe vivente, l’attrattiva per eccellenza di questa piccola comunità. Ma Porto Buio, ha un piccolo problema: manca Gesù Bambino. Luca Miniero – con il suo Non c’è più religione – ci porta in un Paesino del Sud Italia dove tradizione e mutamenti sociali convivono in una atmosfera tutt’altro che serena.
Il neo sindaco “progressista” Cecco (Claudio Bisio), vistosi alle strette per la mancanza di neonati nel suo Paese e assillato dal dover riempire quella culla fra Giuseppe e Maria, è costretto, sfoderando tutta la sua posticcia apertura mentale dettata da convenienza, a fare riferimento alla comunità di immigrati.
Ben più prolifici dei cittadini di Porto Buio, la comunità musulmana si trova a dover collaborare con quella nostrana, programmando il pargolo “divino” da utilizzare e dettando le sue regole. Così i “capi” delle due fazioni Bilal (Alessandro Gassman) ovvero il napoletano Marietto (convertitosi alla religione di Maometto) e Cecco il mediatore, ex amici di infanzia con dei dissapori del passato, decidono di scendere a patti. La reazione dei cittadini di Porto Buio, si può ben immaginare, fra questi quello di Suor Marta (Angela Finocchiaro) particolarmente legata alle tradizioni e poco incline a riconsiderare la natività in senso meno cristiano.
Non c’è più religione è una commedia che mira a rappresentare in termini un po’ estremi l’attuale situazione di conflitto sociale, nonché l’inarrestabile calo demografico italiano, argomenti molto interessanti, senz’altro meritevoli di essere approfonditi con un occhio disincantato, ma che nel film in questione vengono trattati in modalità decisamente edulcorata. Il risultato è poco efficace. Il film di trascina fra dialoghi e situazioni convenzionali, siparietti abusati e cliché a profusione, una estremizzazione a tratti inverosimile, figlia forse della comicità in senso stretto più che della commedia.
La sensazione in questo film è quella di assistere a molti elementi mischiati, a una carrellata di personaggi un po’ stereotipati con costumi colorati, in cui pare venga meno un filo conduttore e l’importanza del messaggio di fondo, per una struttura narrativa un po’ disomogenea e a sketch.
Va dato atto tuttavia che l’intuito di Maniero per quanto attiene al “soggetto” è senza dubbio molto intrigante, ma il regista si abbandona un po’ al “pressapochismo” senza osare, battendo la strada sicura. In tutto ciò all’interno di questo “affresco” dalle tinte pastello, il personaggio più convincente e un po’ più sfaccettato è Suor Marta interpretata con spontaneità da una versatile Angela Finocchiaro che riesce in parte a umanizzare la vicenda.
Voto per noi: 6-