Sergio Castellitto torna dietro la macchina da presa con il suo ultimo film Nessuno si salva da solo in uscita nelle sale il 5 marzo 2015, tratto dal romanzo della moglie Margaret Mazzantini.
Dalia (Jasmine Trinca) e Gaetano (Riccardo Scamarcio), sono due ex coniugi che da tempo vivono separati, si ritrovano ad una cena, uno di fronte all’altra, per discutere l’organizzazione delle vacanze dei loro due figli. Quello che apparentemente sembra un incontro di ménage familiare si trasforma in un confronto aspro, da cui scaturiscono i flashback di una ordinaria storia coniugale fallita.
Dalia e Gaetano ripercorrono a tappe la loro storia, lei una biologa nutrizionista, lui uno sceneggiatore televisivo con velleità da scrittore, una unione alquanto tormentata, un uomo e una donna che si ritrovano a vivere profonde lacerazioni: una giovane moglie, manco a dirlo, dal passato problematico, ora risoluta e senza peli sulla lingua, ha davanti a sé un ex marito mediamente “frescone”, traditore, che alla fine sembra proprio mettercela tutta per cercare di riconquistarla, grazie al fortuito intervento di una coppia di anziani (Castellitto chiama a raccolta il cantautore Vecchioni) loro vicini di tavolo, che svelano la “ricetta del vero amore”.
Nessuno si salva da solo è, tirando le somme, un film che viaggia su un binario unico, quello di una coppia apparentemente al capolinea, un’analisi in salsa “mucciniana”, di un melodramma di coppia e affresco generazionale con tanto di “urlo in faccia”, frasi fatte, insulti coloriti, rabbia, frustrazione, amplessi frenetici e sfrenati che alla fine della storia quando lui “schiaccia” lei, in tutti i sensi, divengono la parabola della rovina morale.
In tutto questo Castellitto, tenta la carta del realismo esacerbato, in cui affiorano parecchi cliché: in una atmosfera decadentista piazza anche lo scontro fra generazioni, dove padri e figli si rinfacciano colpe e sconfitte, una generazione di sessantottini come i genitori di Gaetano, hippy con chitarra alla mano e fumatori di canne, che credono di poter ancora cambiare le cose; peccato che tutto ciò sappia più di stereotipo che di realismo.
Alla fine cosa rimane? Una pellicola che si trascina fra esasperati alti e bassi con un finale che non ci si aspetterebbe, una discreta recitazione di Scamarcio e Trinca, con di contro uno stile cinematografico sorpassato e un po’ inconcludente, dove tutto sembra rimanga in superficie in una affannosa e incessante burrasca. L’analisi profonda non riesce ad emergere. Si dice che: “il silenzio è denso di significato” e allora perché privare lo spettatore di quei silenzi? Non dargli la possibilità di interpretarli? Ed è proprio lì che Antonioni, nel descrivere le sue storie di fallimenti, lo aveva compreso.
Voto per noi: 5,5