Dal 13 al 24 maggio, l’Italia si presenterà alla Mostra del Cinema di Cannes con il trittico di registi nostrani come: Paolo Sorrentino, Matteo Garrone e infine Nanni Moretti con il suo ultimo lavoro: Mia Madre in uscita nelle sale il 16 Aprile.
Una pellicola autobiografica in cui il regista ripercorre il dramma personale di rielaborazione del lutto della madre durante le riprese di Habemus Papam (2011): Moretti cede la scena a Margherita Buy, che interpreta una regista divisa tra il lavoro e la rassegnata accettazione della perdita della madre Ada (Giulia Lazzarini), insegnante in pensione, gravemente malata.
Ma volendo scavare nel profondo, quello che sulle prime potrebbe sembrare un lavoro sul “dolore” si traduce in realtà anche in un’amara riflessione sulla inadeguatezza alla vita e al rapporto con il prossimo, sull’incapacità di comprendere il mondo, nonostante quel mondo la regista Margherita (impegnata nell’ennesima pellicola sulla condizione lavorativa del Belpaese) sia intenzionata a mostrarlo e a volerlo analizzare.
Quello che emerge è di fatto uno scontro: fra realtà interiore ed esteriore, fra apparenza e sostanza. In un prodotto che ricorda un certo stile alla Woody Allen, dove il mentore lascia spazio all’adepto per riportare la sua visione del mondo, Moretti (fratello della protagonista), rimane defilato, ma non per questo la sua presenza risulta meno ingombrante. Ci sono passaggi precisi e silenzi, in cui regista “puntualizza”, “accentua”, “rivela con grande pragmatismo” a una stordita Margherita Buy dosando il tempo infinito di un’agonia interminabile.
Da un lato va stimato per uno stile essenziale – ma vibrante – grazie alle convincenti “visioni inconsce” della protagonista; dall’altro, si perde un po’ nell’oblio perpetuo, spezzato bruscamente da un esilarante John Turturro, tronfio attore americano chiamato a raccolta nel cast. Moretti sembra imporre proprio in Turturro (eccezionale e davvero divertente nel ruolo dello smemorato Barry Haggins), una sorta di balsamo ristoratore, forzandolo a tradimento all’interno del contesto, un cambio di registro eccessivo che impropriamente snatura il film.
Sulla scia dello struggente La stanza del figlio, in cui il tempo si ferma e i secondi di pellicola scorrono in un immobilismo senza risoluzione verso un “futuro” che non c’è più, in Mia madre “l’immobilismo” lascia il posto alla scoperta di sentirsi ancora “figli” e avere bisogno di qualcuno che ci indichi la strada da seguire per comprendere il mondo.
Voto per noi: 7+