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Come sono arrivato qui? E cosa ci faccio? Sfilano come un tormentone (e quando andrete a vedere il film scoprirete anche come) queste domande che accompagnano i protagonisti e a cui ciascuno cercherà di dare la sua risposta. Dopo le radio libere negli anni ’70 con Radiofreccia e i quattro amici e le loro nostalgie nei Duemila (Da zero a dieci), Luciano Ligabue torna per la terza volta regista e firma Made in Italy, film in uscita il 25 gennaio e ispirato all’omonimo concept album del rocker emiliano.
Protagonista, Stefano Accorsi, alias Riko, alias forse Luciano se non fosse diventato Ligabue? Tanti gli indizi che lo lasciano pensare, dalla immancabile provincia emiliana alle camicie da rockabilly, alla collezione di dischi. In una sorta di sliding doors, il regista rocker di Correggio ha scelto qualcuno che fosse “meno privilegiato” di lui per la sua dedica all’Italia così com’è oggi, prima fatta in musica, con il concept album Made in Italy uscito a novembre 2016, poi diventato una sceneggiatura e un film omonimo. Made in Italy, il terzo film di Luciano Ligabue, esce in sala il 25 gennaio, prodotto da Fandango, Zoo Aperto, Riservarossa, Eventidigitali Films e distribuito da Medusa Film.
Made in Italy, trama
Riko da trent’anni lavora come operaio in un salumificio emiliano. Ha una moglie, Sara (Kasia Smutniak), che gestisce un salone come parrucchiera, e con la quale si intuisce subito che le cose non vanno più bene come prima. Ha anche un figlio, Pietro (Tobia De Angelis), appassionato videomaker, che sta per iniziare il Dams, “il primo della famiglia” ad andare all’università, dice non senza orgoglio e senzo di rivalsa, ad un certo punto del film, Riko. Che esorta il figlio ad andarsene di casa, intendendo con questo a far qualcosa per non rimanere indietro perché “a furia di farsi andare bene le cose si finisce per farsi andare bene tutto”. E Riko questo sembra non sopportarlo più: è frustrato, arrabbiato, vede licenziare i colleghi uno dopo l’altro, cerca conforto nelle fughe in discoteca il venerdì sera lasciandosi dietro la sensazione di essere quasi fuori tempo massimo, per tutto. Ma ha un manipolo di amici storici, che per certo versi sono una famiglia. Ma come ogni famiglia hanno anche loro le luci e ombre. E devono arrivare dei momenti traumatici, che hanno a che fare anche con loro, per smuovere le cose.
Come nei titoli di testa, in cui Stefano Accorsi balla con indosso un giubbotto rosso da rockabilly per poi ritrovarsi in grembiule e cuffia davanti a un’altra mortadella da insaccare, Riko vorrebbe essere altrove, fare altro. Forse il rocker, come lascia intuire la sua collezione di dischi e il figlio che lo chiama rockstar? E solo quando tra sè e la sua vita di prima metterà una “giusta distanza” capirà che forse la vera felicità si può trovare anche a casa propria, tra famiglia e amici.
Nulla di particolamente originale dunque, come pure i frammenti di vita quotidiana che si dipanano nel film e che messi insieme fanno il racconto. Ed è molto più preponderante sullo schermo il Riko arrabbiato col mondo rispetto a quello che prende coscienza della propria vita e in mano il proprio destino. E se ufficialmente il protagonista, insieme alla moglie Sara, è Riko, non sono pochi i tratti in cui è Carnevale (Fausto Maria Sciarappa), l’amico fragile, a dettare il ritmo della storia e a prendersi lo schermo. Sarà lui a spronare Riko a cambiare, ad andarsene se necessario (anche se ci vorrà del tempo, e molti avvenimenti, prima che l’amico in qualche modo lo ascolti), e sarà lui il protagonista di due dei punti di svolta della storia (e della vita) di Riko.
Nelle intenzioni di Luciano Ligabue il film Made in Italy è una tormentata dichiarazione d’amore verso il nostro Paese. Un Paese alle prese con la crisi, le incertezze politiche, la perdita del lavoro, tutte difficoltà che si riversano nella vita quotidiana che potrebbe essere quella di ciascuno di noi. E di chi vive le notizie di spread e altro come un’eco lontana. Ma la dimensione del film rimane sempre molto privata: il tentativo di denunciare le brutture pubbliche in alcuni momenti sembra quasi forzato. L’attenzione arriva tutta o quasi dritta sulla dimensione intima, sulle relazioni con gli amici, sulla vita di famiglia.
Made in Italy, Ligabue e la regia
Ed è lo stesso Ligabue a spiegare cosa l’abbia convinto a tornare dietro la macchina da presa, sedici anni dopo “Da zero a dieci”: “Si tratta di una storia che ho creduto valesse la pena raccontare; un sentimento (l’amore frustrato verso il nostro Paese) che da circa dieci anni provo a esprimere occasionalmente in qualche canzone e che qui poteva essere raccontato da qualcuno (Riko) che, avendo meno privilegi di me, mi sembrava avesse ancora più diritto a una certa incazzatura. Terzo: l’anomalia di una storia raccontata in primo luogo attraverso una serie di canzoni che sono arrivate a formare un concept album (altra anomalia di un certo conto, almeno attualmente) poi diventato una sceneggiatura e infine un film in cui le stesse canzoni tornano per accompagnare alcune scene”.
Made in Italy, trailer
Una frase del film: “Come sono arrivato qui? A strappi. Cosa ci faccio qui? Tutto quello che posso”
Il nostro voto: 7