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La complessa storia della legislazione italiana sulla cannabis

News Partner 1 anno fa
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L’evoluzione della percezione sociale della cannabis in Italia: da droga demonizzata a potenziale risorsa.

Nel fitto tessuto del dibattito politico e sociale italiano, la storia della legislazione sulla cannabis emerge come un filo vivido e contorto. Nel corso degli anni, questo filo ha disegnato una trama complessa, che si è evoluta e adattata a variazioni culturali, scientifiche e politiche.

Il seguente articolo ripercorrerà le tappe fondamentali di questa lunga storia, partendo da un passato nel quale la pianta rappresentava un importante materiale per la produzione di cordame e tessuti, proseguendo attraverso l’ondata di demonizzazione e proibizionismo che ne ha reso illecito il consumo, il commercio e la produzione, fino alle recenti tendenze verso la legalizzazione, di cui uno dei sintomi più evidenti è la proposta di legge sulla cannabis che potrebbe portare un po’ d’ordine e chiarezza in un ambito ancora più complesso che mai.

Perché e quando è diventata illegale la cannabis in Italia?

La cannabis non è sempre stata una sostanza proibita nel nostro Paese.

Fino agli anni ’40 del Novecento, l’Italia era tra i maggiori produttori mondiali di canapa, seconda solo al colosso sovietico, e la pianta veniva utilizzata soprattutto per scopi industriali e tessili.

La svolta proibizionista, però, iniziò ad arrivare a metà degli anni ’30 dall’altro lato dell’Atlantico.

Tutto iniziò negli Stati Uniti, dove nel 1937 fu approvato il Marihuana Tax Act, una legge federale degli Stati Uniti d’America che impose una tassa sulla vendita e il possesso di cannabis. La legge venne firmata dal presidente Franklin D. Roosevelt e il suo scopo era di scoraggiare l’uso e il commercio di marijuana.

La norma si basava su una serie di argomenti propagandistici e, a tratti, a sfondo razzista, che dipingevano la cannabis come una droga che provocava violenza, follia e crimine, soprattutto tra le minoranze etniche e i gruppi sociali emarginati. La legge fu anche influenzata dagli interessi economici e politici di alcune industrie, come quella del cotone, della carta e dei farmaci, che vedevano la pianta come una potenziale concorrente o una minaccia.

C’è da dire che questa norma non proibiva esplicitamente la cannabis, ma la rendeva praticamente inaccessibile attraverso un sistema di tasse, licenze e regolamentazioni. Chiunque volesse coltivare, vendere o possedere marijuana doveva registrarsi presso il Dipartimento del Tesoro e pagare una tassa annuale di 24 dollari. Inoltre, doveva presentare una dichiarazione scritta ogni volta che trasferiva la cannabis a qualcun altro, indicando la quantità, il prezzo,  il nome e l’indirizzo del destinatario. Il mancato rispetto di queste norme comportava pesanti sanzioni penali e amministrative.

A partire da questa decisione degli USA, il sospetto e l’avversione nei confronti della marijuana si diffusero in tutto il mondo occidentale, portando la maggior parte dei Paesi europei (Italia compresa) a prendere una strada decisamente proibizionista, promulgando apposite norme volte a vietarne la produzione, la vendita e il consumo.

La cannabis nel quadro giuridico globale: dalle restrizioni nazionali alle convenzioni internazionali

In conseguenza di quanto detto nel finale del paragrafo precedente, l’ondata proibizionista si manifestò non solo attraverso l’emanazione di legislazioni nazionali anti-cannabis, ma anche tramite accordi di natura internazionale, come la nota Convenzione sugli stupefacenti dell’ONU.

Stiamo parlando di un trattato internazionale che regola la produzione, il commercio e l’uso di sostanze che possono avere effetti nocivi sulla salute e sulla società, adottato nel 1961 e modificato da un protocollo nel 1972. Il suo scopo è di prevenire e combattere l’abuso e il traffico illecito di droghe, limitando il loro impiego a fini medici e scientifici.

La convenzione stabilisce quattro tabelle di sostanze controllate, che vanno dalle più pericolose alle meno restrittive, e assegna a diversi organi delle Nazioni Unite il compito di monitorare e aggiornare le liste, nonché di cooperare con gli Stati membri per garantire il rispetto del trattato. Tra queste sostanze compare anche la cannabis, inserita in particolare nella tabella IV, ma di recente rimossa con una decisione storica della Commissione stupefacenti dell’ONU.

La suddetta è stata integrata, poi, da altre due convenzioni: la Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971, che controlla altre sostanze con effetti psicoattivi come LSD, MDMA e psicofarmaci, e la Convenzione contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope del 1988, che rafforza le misure contro il riciclaggio di denaro e la cooperazione giudiziaria internazionale in materia di droga. Queste tre costituiscono il quadro giuridico internazionale per la lotta contro il problema mondiale della droga.

La legge Iervolino Vassalli del 1990

Attualmente la legge alla base della regolamentazione della cannabis è la 309/90, nota anche come Testo Unico sugli Stupefacenti e come legge Iervolino Vassalli.

Fu emanata dal governo Craxi nel 1990 e introdusse la differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti, prevedendo sanzioni penali differenti per lo spaccio a seconda delle sostanze. Inoltre, la legge si basava sul concetto di “dose media giornaliera” per stabilire il quantitativo di sostanza posseduto a fini personali. Fu poi modificata da un referendum voluto dai Radicali nel 1993, che abrogò il carcere per l’uso personale di droghe.

Vediamo meglio la storia di questo referendum.

Il Referendum del 1993: la sfida per la depenalizzazione dell’uso personale di droghe leggere in Italia

Nel 1993 gli italiani furono chiamati a votare per la depenalizzazione del consumo e il possesso di droghe leggere, come la cannabis e l’hashish. Il referendum fu promosso da una raccolta di firme di oltre un milione di cittadini, sostenuti da associazioni e movimenti che ritenevano che la legislazione vigente fosse troppo repressiva e, di fatto, inefficace nel contrastare il fenomeno della droga.

Il quesito chiedeva in particolare di depenalizzare il consumo e la detenzione di droghe leggere per uso personale.

I sostenitori del referendum sostenevano che la depenalizzazione delle droghe leggere avrebbe avuto effetti positivi sulla salute pubblica, sulla sicurezza e sulla giustizia. Infatti, si sarebbe ridotto il rischio di contagio da malattie infettive tra i consumatori, si sarebbe liberato il mercato nero dalle mafie e si sarebbe alleggerito il carico dei tribunali e delle carceri.

I contrari al referendum, invece, sostenevano che una simile decisione avrebbe favorito l’aumento del consumo e della dipendenza, con conseguenze negative sulla salute individuale e sociale. Inoltre, si sarebbe inviato un messaggio sbagliato ai giovani e si sarebbe minato il principio di prevenzione e di educazione.

Il referendum vide una partecipazione del 62,5% degli aventi diritto e il risultato fu la vittoria di misura del Sì, scelto dal 55% dei votanti. Tuttavia, l’opinione popolare non si tradusse in un intervento del legislatore in merito, e la normativa sugli stupefacenti rimase inalterata fino al 2006.

Il referendum del 1993 fu il primo e finora unico tentativo di riformare la legislazione sulle droghe leggere in Italia. Da allora, il dibattito sul tema è rimasto aperto e controverso, con diverse proposte di legge presentate in Parlamento senza successo. Alcune regioni e comuni hanno invece introdotto norme più permissive sul consumo terapeutico o ricreativo di cannabis, creando una situazione di incertezza giuridica.

La controversa legge Fini Giovanardi: abolizione della distinzione tra droghe leggere e pesanti

La legge Iervolino Vassalli fu sostanzialmente cancellata dalla legge Fini Giovanardi, entrata in vigore nel 2006.

Questa norma è stata approvata dal governo Berlusconi, su proposta dei ministri Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi, e ha suscitato molte polemiche e critiche da parte di associazioni, esperti e movimenti che si occupano di droga e tossicodipendenza.

La legge ha abolito la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, introducendo una classificazione basata sulle quantità di sostanze detenute. In base a questa classificazione, si distinguono tre categorie di sostanze: minime, medie e massime. Chi detiene quantità minime di sostanze stupefacenti è considerato un consumatore e non è punibile penalmente, ma può essere sottoposto a misure amministrative come la sospensione della patente o del passaporto. Chi detiene quantità medie di sostanze stupefacenti è considerato un spacciatore occasionale e può essere punito con la reclusione da sei a venti anni e con una multa da 26.000 a 260.000 euro. Chi detiene quantità massime di sostanze stupefacenti è considerato un trafficante e può essere punito con la reclusione da otto a ventiquattro anni e con una multa da 52.000 a 520.000 euro.

La legge Fini Giovanardi ha avuto diversi effetti sul fenomeno della droga in Italia. Da un lato, ha aumentato il numero di arresti e di detenuti per reati legati alla droga, soprattutto per spaccio occasionale. Da un altro lato, ha ridotto il numero di persone che accedevano ai servizi sanitari per la cura della tossicodipendenza, per paura di essere denunciate o stigmatizzate. Inoltre, ha creato una situazione di incertezza giuridica, in quanto le quantità di sostanze previste dalla legge non sono sempre chiare e possono variare a seconda dei casi e dei giudici.

Le conseguenze delle sentenze della Corte Costituzionale: il ritorno alla disciplina della legge Iervolino-Vassalli

Per via della sua scarsa chiarezza e dell’eccessiva severità nei confronti soprattutto dei consumatori di droghe leggere, la legge Fini Giovanardi è stata oggetto di diverse sentenze della Corte Costituzionale, che ne hanno dichiarato l’illegittimità in alcuni punti.

Nel 2014, la Corte ha annullato la parte della legge che equiparava le droghe leggere alle droghe pesanti, ristabilendo la distinzione tra le due categorie. Nel 2019, poi, ha annullato quella che prevedeva le misure amministrative per i consumatori di droga, ritenendole sproporzionate e lesive dei diritti fondamentali. Tuttavia, la legge Fini Giovanardi non è stata ancora abrogata o sostituita da una nuova normativa, lasciando un vuoto legislativo sul tema della droga in Italia.

Questi interventi hanno comportato, di fatto, il ritorno alla precedente disciplina, prevista dalla legge Iervolino Vassalli del 1990 e modificata dal referendum del 1993, che prevedeva pene più basse e differenziate per le droghe leggere e quelle pesanti. Questo ha avuto diverse conseguenze sul piano giudiziario, carcerario e sociale, tra cui il ricalcolo delle pene per i condannati o gli imputati per reati di droga, la possibile scarcerazione o prescrizione per molti detenuti o indagati e la riapertura del dibattito sulla politica delle droghe in Italia.

La legge 242/2016: una svolta per la cannabis light e la sua filiera agroindustriale

Una novità nel panorama della legislazione sulla cannabis è stata introdotta con la legge 242/2016 che ha, di fatto, permesso il commercio della cosiddetta canapa light.

Si tratta di una norma che ha lo scopo di promuovere la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa, una pianta che può avere diversi benefici per l’ambiente, l’agricoltura e l’industria, la cui coltivazione, come abbiamo accennato in precedenza, è stata fortemente limitata. Il motivo è legato alla sua associazione con la cannabis on effetti stupefacenti, ovvero con un alto contenuto di tetraidrocannabinolo (THC).

La 242/2016 ha introdotto una distinzione tra le due tipologie di pianta, stabilendo che la coltivazione e la filiera della canapa sono lecite se si tratta di varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole dell’Unione europea e con un contenuto di THC inferiore ai limiti stabiliti per legge.

Inoltre, ha anche previsto una serie di misure per sostenere e incentivare la coltivazione e la filiera della canapa, tra cui:

  • la creazione di un osservatorio nazionale sulla canapa presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con il compito di monitorare lo stato e lo sviluppo del settore, promuovere la ricerca scientifica e tecnologica, diffondere le buone pratiche e le informazioni utili agli operatori;
  • l’istituzione di un fondo per la canapa presso il Ministero dell’economia e delle finanze, con una dotazione iniziale di 15 milioni di euro per il triennio 2017-2019, destinato a finanziare progetti di ricerca, innovazione, formazione e sviluppo della filiera;
  • l’inserimento della canapa tra le colture ammissibili ai regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune (PAC) dell’Unione europea;
  • la possibilità per le regioni e le province autonome di adottare piani regionali per la canapa, al fine di valorizzare le specificità territoriali e favorire l’integrazione tra gli attori della filiera;
  • la semplificazione delle procedure amministrative per l’iscrizione delle varietà di canapa nel Catalogo nazionale delle specie vegetali;
  • la promozione dell’utilizzo della canapa nei settori alimentare, cosmetico, industriale ed energetico, attraverso campagne informative, norme tecniche, certificazioni di qualità e incentivi fiscali.

Chiarezza necessaria: la proposta di legge per la depenalizzazione della coltivazione di cannabis in Italia

Attualmente, la situazione normativa della cannabis in Italia è ancora incerta e contraddittoria. Da un lato, esistono dei limiti quantitativi per distinguere l’uso personale dallo spaccio, ma questi sono stabiliti caso per caso dai giudici. Dall’altro lato, esistono dei prodotti a base di cannabis legale (come quelli a base di CBD) che sono legalmente acquistabili, ma il cui consumo viene talvolta tollerato, talvolta punito con sanzioni amministrative.

Insomma, ci troviamo di fronte a una legislazione che necessita degli interventi chiarificatori, in un senso o nell’altro. Ed è proprio in questa direzione che si inserisce la proposta di legge per la depenalizzazione della coltivazione di cannabis per uso personale, per un massimo di 4 piante femmina, della quale si parla da alcuni anni.

Modifiche alla normativa sulle sostanze stupefacenti: il testo in esame

Il ddl al quale abbiamo accennato poc’anzi è stato approvato dalla Commissione Giustizia della Camera il 9 settembre 2021. Si tratta di un testo che sintetizza le tre proposte presentate da +Europa e M5S, con l’obiettivo di modificare la normativa vigente in materia di sostanze stupefacenti.

Il testo prevede che le persone maggiorenni possano coltivare e detenere per uso personale fino a quattro piante femmine di cannabis, senza incorrere in sanzioni. Inoltre, introduce una distinzione tra droghe leggere e pesanti, e depenalizza i fatti di lieve entità relativi alla detenzione e al traffico di queste sostanze. Per i tossicodipendenti che commettono reati di produzione o spaccio, il testo prevede la possibilità di sostituire la pena detentiva con i lavori socialmente utili. Infine, il testo aumenta le pene per l’associazione a delinquere e per lo spaccio verso i minorenni.

La proposta di legge ha ricevuto il sostegno di Pd, M5S, LeU e +Europa, mentre ha incontrato l’opposizione di Lega, FdI e Forza Italia. Italia Viva si è astenuta. Il testo dovrà ora passare al vaglio dell’Aula della Camera e poi del Senato, dove potrebbe subire ulteriori modifiche.

La proposta di legge si inserisce in un dibattito nazionale e internazionale sulla regolamentazione della cannabis, che coinvolge aspetti sanitari, sociali, economici e giuridici. Alcuni Paesi hanno già legalizzato o depenalizzato l’uso ricreativo o terapeutico della cannabis, mentre altri mantengono una posizione proibizionista. In Italia, la questione è stata oggetto di diverse iniziative legislative e referendarie, ma anche di contrasti giurisprudenziali e interpretativi, ma la situazione rimane ancora piuttosto delicata e, come abbiamo visto, le uniche varietà di cannabis liberamente commercializzabili restano quelle che rientrano nel novero della canapa legale, protagoniste di un mercato caratterizzato dalla presenza di aziende di rilevanza nazionale come il noto e-commerce Justbob.