Amy Ryan (Olga Kurylenko), studentessa fuoricorso di astrofisica e cosmologia, impiega il tempo libero facendo la stuntwoman per la televisione e il cinema: riaprire gli occhi dopo ogni morte sul set è la parte che preferisce del suo lavoro, grazie al quale riesce involontariamente a esorcizzare una passata tragedia familiare. Fra un esame sul bosone di Higgs e un’esplosione da cui fuggire in moto, la “kamikaze”Amy intrattiene da sei anni una relazione con un anziano professore (Jeremy Irons), Ed Phoerum, un luminare padre di famiglia. I due, spesso lontani per gli impegni accademici di Ed, mantengono una fitta corrispondenza fatta di mail, messaggi WhatsApp, conversazioni Skype, lettere, biglietti allegati a regali. Un giorno, però, Phoerum sparisce nel nulla: Amy non riesce a parlargli di persona, ma lui continua a inviarle messaggi. La donna comincia a indagare, ma il mistero – che qui non vogliamo anticiparvi- si svela presto e ad Amy non resta che fare i conti con la realtà.
Questa la trama di La corrispondenza, undicesimo lungometraggio di Giuseppe Tornatore, il regista premio Oscar nel 1998 per Nuovo Cinema Paradiso che meno di tre anni fa ha raccolto un grande successo di pubblico e di critica con La migliore offerta (oltre 9 milioni di euro al botteghino, sei David, sei Nastri d’Argento, 4 Ciak d’Oro e un European Film Awards): Tornatore gioca con l’affascinante e romantica metafora delle stelle, la cui luce ci arriva splendida nel momento in cui hanno già cessato di esistere, punta sulle musiche dell’inseparabile Ennio Morricone (nominato agli Oscar 2016 per The Hateful Eight di Tarantino), rilancia con il fascino della splendida (ma ancora non troppo solida) Olga Kurylenko e di un attore di grande spessore come Jeremy Irons.
E perde tutto.
La corrispondenza, nei cinema dal 14 gennaio, ci sembra infatti essere il film meno riuscito del regista siciliano: a penalizzarlo, fin dai primi minuti del film, dialoghi talmente stucchevoli e sospirati da risultare involontariamente comici, la presenza di elementi nella trama quasi caricaturali (il personaggio di Ottavio, interpretato da un allucinato Paolo Calabresi; le apparizioni quasi metempsicosiche di cani, falchi e foglie; la rappresentazione grottesca del cinema nel cinema) e un doppiaggio che lascia a desiderare. Resta interessante il tema della presenza sempre più asfissiante della tecnologia nel nostro quotidiano: quale tipo di sentimento è quello che lega a una presenza solo virtuale? Facebook e Google non ci hanno forse tolto il nostro diritto all’oblio, a dimenticare le persone? Abbiamo girato queste domande al regista secondo il quale: “C’è effettivamente il rischio che la tecnologia renda chi appartiene al nostro passato un fantasma che torna a tormentarci, ma tutto sta nell’uso che riusciamo a fare di Internet e dei social network”.
Un brutto scivolone.
Il nostro voto: 4
Una frase: Volevo trovare una chiusa originale, ma mi viene solo ‘Ti amo’.
Per chi: a Tornatore perdonerebbe qualunque cosa.