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Keith Haring a Palazzo Reale: in mostra 110 opere dell’artista pop

Redazione 8 anni fa
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Credits: Keith Haring - Tree of Life, 1985

Milano continua a occuparsi di arte contemporanea e di graffitismo metropolitano anche dopo la mostra dedicata a Jean-Michel Basquiat dal Mudec: il 21 febbraio debutterà infatti a Palazzo Reale una delle grandi mostre attese in città nel 2017: Keith Haring. About Art, che rimarrà aperta fino al 18 giugno.

Quasi quattro mesi dunque per osservare le 110 opere dell’artista americano dalla sensibilità pop: molte tra queste sono di grandi dimensioni e alcune addirittura inedite o mai esposte nel nostro Paese, grazie al contributo di collezioni pubbliche e private americane, europee, asiatiche. «110 opere che ci permettono di conoscere un artista che è stato artefice del suo tempo, un vero e proprio marchio di esportazione, che ha corso il rischio di essere ridotto a un’icona», ha detto Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale all’apertura della conferenza stampa. Tutte opere realizzate in soli 12 anni visto che, come forse sapete, Haring morì a soli 31 anni a causa dell’AIDS.

Haring e il suo rapporto con la storia dell’arte

Caratteristica, invece, di questa rassegna curata da Gianni Mercurio, la prima del genere in Italia, è la ricostruzione genealogica dell’ispirazione di Keith Haring, in modo da mettere in luce il suo rapporto con la storia dell’arte: i lavori dell’artista vengono infatti inseriti in un dialogo con le sue fonti, dall’archeologia classica alle arti precolombiane, dalle figure archetipiche delle religioni alle maschere del Pacifico e alle creazioni dei nativi americani, fino ai maestri del Novecento quali Pollock, Dubuffet, Klee. «Una mostra che unisce iconografia e ricerca», ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno nella conferenza stampa che si è tenuta lunedì 20 febbraio, «e che è legata anche alla mostra di Basquiat al Mudec: si tratta infatti di due personaggi che hanno raccontato due facce del mondo americano. Inoltre, un percorso critico nuovo che per la prima volta accosta le rappresentazioni pittoriche, i graffiti e i video delle performance di Haring a opere che hanno rappresentato gli stimoli creativi del suo personale immaginario, provenienti dalla tradizione classica, tribale e pre-colombiana, passando dal Rinascimento per arrivare all’arte del ‘900».

E così vi capiterà di arrivare nella sala dedicata all’Umanesimo – la mostra non è cronologia ma tematica – e di trovare la lupa che suggestionò Haring come simbolo della maternità. E ancora: di entrare in una sala in cui a dominare la scena ci sono una colonna traiana e i calchi che ne fece Haring o di vedere – andando a un passato più recente – il calco che Haring fece del “Combattimento di centauri e lapiti” e accanto l’omonima copia da Michelangelo Buonarroti.

La lettura retrospettiva dell’opera di Haring fornisce dunque una nuova interpretazione del suo stile unico e originale, che compie una vera e propria sintesi narrativa di archetipi della tradizione classica, di arte tribale ed etnografica, di immaginario gotico o di cartoonism, di linguaggi a lui contemporanei, con incursioni finali nell’avanguardia digitale grazie all’utilizzo del computer in alcune ultime sperimentazioni come sottolineato da Gianni Mercurio, curatore della mostra: «Nei suoi dipinti e nelle sue sculture troviamo frammenti di arte tribale e di cultura etnografica che interagiscono con un immaginario gotico e con l’universo del fumetto. Sperimenta inoltre l’impiego di Paintbox, un software che gli permette di creare immagini al computer». Il tutto ancor più comprensibile se si pensa che l’artista statunitense amava dire «Io non sono un inizio e non sono una fine. Sono un anello di catena». 

Unfinished painting, l’immagine rappresentativa

Per lui, dunque, l’arte fu un processo di rigenerazione, «un non finito che è un senza fine e che ricorda l’eterno ritorno di Nietzsche: nella fine c’è sempre un inizio. E non a caso abbiamo scelto come immagine rappresentativa di questa esposizione l’ultimo dei cinque dipinti realizzato nell’estate del 1989, uno dei pochi cui diede un titolo: Unfinished Painting. Qui Haring», ha spiegato ancora Mercurio presentando l’opera ai giornalisti «dipinge solo un quarto dell’opera, l’angolo in alto a sinistra, di cui delinea nettamente il limite nei bordi della tela e simula le sgocciolature di colore verso il basso, evocando così le dinamiche dell’Action Painting. Il senso di sospensione dato all’opera dal non finito apre così alla narrazione: di ciò che è accaduto, di ciò che non accadrà, del divenire negato. Fu grazie a questa visione del mondo che a ventotto anni fronteggiò lo shock dovuto alla consapevolezza di avere contratto il virus dell’AIDS. Lavorò instancabilmente fino agli ultimi giorni di vita».

Come ha raccontato Julia Gruen, direttrice della Keith Haring Foudantion, Haring lavorò per tante opere di carità dando vita a laboratori artistici con i bambini, creando loghi e manifesti per le agenzie di servizio pubblico e producendo pitture murali, sculture e dipinti a beneficio centri sanitari e comunità svantaggiate. Nel 1989, l’artista americano istituì una fondazione per garantire che la sua eredità filantropica continuasse dopo di lui «proteggendo e promuovendo eventi e trovando supporti finanziari per gli artisti emarginati (non per forza nel campo dell’arte) e dando un appoggio diretto e materiale a chi è malato di AIDS». Di certo, un motivo in più per apprezzare la sua arte.

La mostra Keith Haring. About Art ribalta, dunque, in un certo senso la lettura tradizionale dell’operato dell’artista, percepito come espressione di una controcultura socialmente e politicamente impegnata su temi importanti quali droga, razzismo, Aids, minaccia nucleare, alienazione giovanile, discriminazione delle minoranze e arroganza del potere. Contenuto a parte, dal punto di vista del linguaggio Haring fu infatti in grado di ricomporre le forme dell’arte in un unico e personale immaginario simbolico, che fosse al tempo stesso universale, per riscoprire l’arte come testimonianza di una verità interiore che pone al suo centro l’uomo e la sua condizione sociale e individuale.

Le sei sezioni tematiche

L’esposizione è suddivisa in 6 sezioni: umanesimo; archetipi, miti e icone; immaginario fantastico; etnografismo; moderno postmoderno; performance.

Da segnalare anche l’allestimento emozionale che propone molti rimandi al contesto in cui visse Haring, e il catalogo edito da GAmm Giunti/24 ORE Cultura che oltre a una vasta biografia illustrata e a tutte le opere esposte comprende anche i saggi del curatore, Gianni Mercurio, di Demetrio Paparoni, Marina Mattei e Giuseppe Di Giacomo.

Per tutti coloro che non vivono a Milano prevista una promozione da parte di Trenitalia: chi è in possesso di CartaFreccia ed esibirà contestualmente un biglietto delle Frecce avrà la possibilità di acquistare due biglietti al costo di uno.  Offerta valida una sola volta e la data di emissione dovrà essere antecedente di almeno 3 giorni rispetto alla data scelta per visitare l’esposizione.

RIASSUMENDO

Keith Haring. About Art
Palazzo Reale, dal 21 febbraio al 18 giugno 2017

Orari
Lunedì: 14,30 – 19,30
Martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9,30 – 19,30
Giovedì e sabato: 9,30 – 22,30

Biglietti
Intero € 12 / Ridotto € 10 / Ridotto scuole € 6 /
Biglietto Famiglia: uno o due adulti € 10 a testa, bambini fino a 5 anni gratuito, da 6 a 14 anni € 6

Alessio Cappuccio e Cristina Maccarrone