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Irpinia, alla scoperta dell’ “Irlanda d’Italia”

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Quando si pensa alla Campania le immagini che saltano alla mente sono così codificate da cadere nello stereotipo: il caos dei vicoli napoletani, l’imponenza del Vesuvio sui ruderi di Ercolano e Pompei, la folle bellezza della Costiera…

Difficilmente possono fare capolino vallate, laghetti e borghi inerpicati su alte colline verde smeraldo. Eppure anche questa è la Campania, più precisamente l’Irpinia, regione tra le meno note del nostro Paese, e allo stesso tempo una delle più sorprendenti.

Rocche, borghi e castelli

Soprannominata “l’Irlanda d’Italia”, l’Irpinia si trova al centro della Campania, a poca distanza sia da Napoli (circa 30 minuti di auto dalla stazione Centrale) sia dai confini di Basilicata, Puglia e Molise. Abitata sin dal Paleolitico, divenne zona strategicamente fondamentale durante la dominazione longobarda (che aveva come roccaforte del sud la vicina Benevento) e normanna.

Proprio in quest’epoca sorsero i borghi che ancora oggi punteggiano il paesaggio irpino, cresciuti intorno ai numerosi castelli che dall’alto difendevano il territorio. Calitri, Ariano, San Barbato, Gesualdo, Cairano, Pietrastornina, Capocastello e moltissimi altri conservano ancora oggi le vestigia del ricco passato medioevale dell’Irpinia.

Veduta dal borgo di Cairano.
Foto di Beatrice Curti

Passata sotto il Regno di Napoli con il nome di Principato Ultra, l’Irpinia vide iniziare la decadenza dei suoi castelli, che vennero riconvertiti in residenze nobiliari o del tutto abbandonati. Dal 1806, con le leggi napoleoniche che abolivano per sempre l’esistenza dei feudi, i castelli persero ogni funzione sociale, continuando a esistere come vestigia di un passato glorioso.

Quasi ogni borgo irpino vanta il suo castello, e anche se oggi la maggior parte di essi è ridotta a rudere a causa dei numerosi terremoti che hanno colpito la regione, mantengono intatto il loro fascino, grazie soprattutto ai panorami indimenticabili sulle vallate sottostanti, lasciando intendere la loro importantissima funzione strategica.

Avellino, centro dell’Irpinia

Fulcro della comunità e capoluogo della provincia è Avellino. Anche qui in epoca longobarda venne edificato un castello ancora oggi in parte esistente, pensato più come residenza diplomatica che come centro difensivo. Grazie alla posizione favorevole e alla presenza di numerosi corsi d’acqua, Avellino è ben presto diventata il centro della nobiltà locale, nonostante il titolo di capoluogo sia giunto solo nel 1806.

Veduta di Avellino con la Torre dell’Orologio

Simbolo della città è la Torre dell’Orologio, monumento in stile barocco alto 36 metri che domina il centro storico e che ancora resiste nonostante i numerosi crolli dovuti ai terremoti. Ai suoi piedi sorgono gli ingressi della Avellino sotterranea, un complesso sistema di cunicoli nato per l’estrazione del tufo dal sottosuolo e per la creazione di cisterne per la raccolta dell’acqua. I passaggi sotterranei si ricongiungono poi alle cripte del Duomo e della Chiesa di San Biagio, veri tesori dell’architettura medioevale e rinascimentale del Sud Italia.

Pur pesantemente danneggiato dal disastroso terremoto del 1980, il centro storico di Avellino mantiene ancora intatto il fascino delle antiche vestigia aristocratiche, mostrando il suo “salotto buono” in aree come Piazza Libertà e Corso Vittorio Emanuele II, lungo il quale si concentra la vita avellinese tra ristoranti, bar e negozi.

Irpinia pagana: la Mefite

Ancora oggi, guidando lungo le strade che attraversano l’Irpinia, si può notare la sua bellezza selvaggia, fatta di fitti boschi, dirupi, torrenti e colline che ambiscono a essere chiamate montagne. Si può solo immaginare come un territorio del genere abbia temprato la popolazione che per prima vi si è insediata.

Il termine stesso che definisce la tribù sannita che abitò queste terre, hirpus, deriva dalla lingua osca e significa “lupo”. Questi animali erano estremamente numerosi nei boschi della zona e divennero temuti, rispettati e adorati dagli irpini. Le tribù italiche veneravano infatti figure legate alla natura e alle sue manifestazioni, come la dea Mefite, tramite tra il mondo dei vivi e quello della morte.

Vista del lago della Mefite.
Foto di Beatrice Curti

Il santuario più importante dedicato a questa divinità oscura si trovava nella Valle d’Ansanto, ai piedi del borgo di Rocca San Felice. Si tratta di una mofeta, una fessura nel terreno da cui fuoriescono acqua e anidride carbonica in tali concentrazioni da risultare mortale (proprio qui vi si registrano le più alte emissioni di Co2 al mondo, circa 900 t/g). Questo luogo impressionante veniva ritenuto dagli antichi una delle porte dell’Ade, tanto da essere citato da Virgilio nell’Eneide.

Avvicinandosi a distanza di sicurezza si può udire l’inquietante ribollire dell’acqua e soprattutto sentire le esalazioni sulfuree, simili a quelle delle solfatare. A poca distanza dal lago creato dalla mofeta si trovava il tempio dedicato alla dea Mefite, vicino al quale sono state rinvenute numerose offerte votive, oggi conservate al museo di Capodimonte a Napoli.

Montevergine e il santuario di Mamma Schiavona

Abbandonati i culti pagani legati alla natura, il Cristianesimo prese piede in Irpinia come in tutto il resto della Penisola. Nel corso dei secoli nacquero moltissimi santuari in luogo dei templi dedicati agli dei: l’abbazia medioevale del Goleto, oggi un suggestivo rudere in cui sopravvivono figure mostruose e lacerti di affreschi, la barocca collegiata di San Michele a Solofra o l’eremo di San Silvestro a Sant’Angelo a Scala. Ognuno di questi ha caratteristiche uniche che lo rendono meritevole di una visita, ma faticano a rivaleggiare con la vera “star” dei luoghi di culto irpini.

A Mercogliano, a 1270 metri sul livello del mare, si erge il santuario di Montevergine, vero baluardo tra i luoghi di devozione dell’Irpinia e dell’intera Campania. Secondo la tradizione il luogo su cui sorge, sulla cima del monte Partenio, è stato scelto da San Guglielmo da Vercelli, patrono d’Irpinia, per ritirarsi in meditazione. Col passare del tempo l’uomo è stato raggiunto da diversi monaci che costituirono la comunità dei Virginiani e costruirono il primo nucleo del santuario grazie alle offerte ricevute dai fedeli.

Interno della basilica antica di Montevergine.
Foto di Mentnafunangann – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Nel corso dei secoli il luogo di culto si ingrandì e acquisì sempre maggiore importanza, sia dal punto di vista sociale che spirituale. Durante la Seconda Guerra Mondiale ospitò segretamente la Sacra Sindone, portata qui da Torino per scongiurare danni o furti dovuti al conflitto.

All’interno della Basilica antica si trova il dipinto della Madonna di Montevergine, di derivazione bizantina e donato ai monaci nel XII secolo. Secondo una leggenda, nel Duecento una coppia omosessuale venne scoperta amoreggiare dagli abitanti del paese, che per punirli li abbandonò legati a un albero durante una bufera di neve. La Madonna di Montevergine accorse a salvarli, commossa dal loro amore.

È così che Mamma Schiavona, nome affettuoso dato all’effige, divenne la protettrice della comunità LGBT, che ogni anno alla Candelora (2 febbraio) le dedica il pellegrinaggio chiamato juta dei femminielli, che si conclude con danze e festeggiamenti sul piazzale del santuario.

Cosa mangiare e bere in Irpinia

Tra le cose più celebri esportate dall’Irpinia, oltre a Ettore Scola, Gigi Marzullo e Ciriaco de Mita, ci sono i vini. Greco di Tufo, Taurasi, Aglianico e Fiano d’Avellino sono tra i prodotti tipici della regione, ai quali sono dedicati durante l’anno diverse manifestazioni nei borghi più rappresentativi della produzione, con degustazioni dalle migliori cantine del territorio e abbinamenti con altre eccellenze gastronomiche irpine.

Dal pane di Montecalvo Irpino alla castagna di Montella (prodotto IGP che in autunno è protagonista di moltissime sagre) fino alla pasta, con i cavatielli di Castelfranci e la maccaronara di Castelvetere sul Calore.

Importantissima anche la coltivazione di nocciole, in cui l’Irpinia è seconda solo al Piemonte (lo stesso nome del capoluogo Avellino deriva dal latino avella, nocciola), a cui fa seguito la produzione del torrone.

E ancora i formaggi, con il caciochiatto di Ariano Irpino e il caciocavallo podolico (non ditelo ai molisani), i salumi, il tartufo nero di Bagnoli e l’olio extravergine Irpinia – Colline dell’Ufita, che ha ottenuto il marchio DOP.

Tantissimi prodotti enogastronomici fanno da controscena a una regione ancora poco conosciuta, ma che nasconde tesori inestimabili, custoditi con gelosia tra le pieghe di un paesaggio antico e selvatico, cuore nascosto della Campania.