È da pochi giorni in libreria Io Vorrei. La lezione di Giovanna Marini. Edito da Castelvecchi Editore e scritto dal giornalista Paolo Crespi, è dedicato, a pochi giorni dal suo 80esimo compleanno, a colei che Moni Ovadia nella prefazione del libro descrive come “una delle personalità più significative del dopoguerra”: Giovanna Marini, la maggiore cantautrice e compositrice italiana.
Ed è ancora Ovadia a cogliere, in una sintesi perfetta, l’intenzione dell’autore: è una “biografia in filigrana”, scritta con intenti precisi. «Ho scritto questo libro per rivolgermi a un pubblico trasversale che, magari semplicemente per ragioni anagrafiche, non conosce ancora Giovanna Marini. Non sono il suo biografo, ma volevo dare il mio contributo alla comprensione superando alcune delle etichette che hanno portato in passato a ridurre la sua figura e soprattutto la sua complessità artistica» spiega Paolo Crespi.
Fermiamoci allora un attimo per capire meglio chi è quella che l’autore definisce “ottima artigiana della musica e della parola”. Giovanna Marini, classe 1937, è figlia di un importante musicista, Giovanni Salviucci, che muore nello stesso anno della sua nascita e di cui lei non porta il cognome quando inizia a esibirsi e pubblicare per non essere classificata come “figlia d’arte”. Cresciuta in un ambiente colto e borghese, diplomata al Conservatorio di Roma in chitarra classica (prima donna in Italia), allieva di Andrés Segovia, sembra destinata a una carriera tipicamente accademica. Ma la sua vita, molto intensa e avventurosa, cambia ispirazione attraverso una serie di incontri decisivi.
«Il più importante è senz’altro quello con Pier Paolo Pasolini» sottolinea Paolo Crespi. «Nel 1958 la giovane Marini viene chiamata a intrattenere il pubblico in un salotto romano e lì si imbatte per la prima volta nel grande poeta e intellettuale di Casarsa, che lei neppure riconosce ma che – in risposta al dotto repertorio di Bach proposto per la serata – le rivela qualcosa che la segnerà a vita: le canzoni non si trovano sui libri, nascono dalla strada”.
Da quell’incontro fondamentale ne scaturiranno molti altri, primi fra tutti quelli con i Gianni Bosio e Roberto Leydi. «Punto di svolta della carriera di Giovanna Marini è lo spettacolo Bella Ciao, messo in scena dagli etnomusicologi con il Nuovo Canzoniere Italiano, a Spoleto, nel 1964. Il pubblico piccolo-borghese del festival è scandalizzato nel vedere e ascoltare le mondine sul palco, non ne capisce assolutamente il significato. Ma l’impatto dello spettacolo sulla società italiana è comunque clamoroso. Se ne parla ancora adesso, dopo oltre mezzo secolo» ci racconta Crespi.
Ricerca sul canto popolare, canzone di protesta sono cavalli di battaglia di Giovanna Marini (e di intere generazioni), ma dagli anni Sessanta-Settanta in poi Giovanna Marini si dedica anche e soprattutto allo studio e alla scrittura. «L’hanno chiamata la regina del folk, la Joan Baez italiana, tutte definizioni limitative per una personalità così poliedrica che in oltre cinquant’anni di attività ha composto ballate, musiche per il teatro, il cinema e la danza, opere, oratori, quartetti, composizioni per coro e indimenticabili canzoni di testimonianza civile».
Nei suoi spettacoli, alterna da sempre la musica a momenti parlati: «Sono quei récit (racconti, ndr) che l’hanno fatta tanto amare dal pubblico francese e che lei propone anche da noi perché ha sempre cercato di comporre per un gruppo di persone nel quale riconoscersi, al quale raccontarsi». Ed è proprio la “connessione”, questo termine così comune nella nostra era social, la cifra umana di Giovanna Marini. «Non è su Facebook, ma in tutta la sua vita ha stretto così tante relazioni artisticamente rilevanti che mi fanno dire che per lei andrebbe rivista la teoria dei sei gradi di separazione».
Non è dunque un caso che in “Io Vorrei. La lezione di Giovanna Marini”, Paolo Crespi abbia raccolto i contributi di Vinicio Capossela, Ascanio Celestini, Elio De Capitani, Francesco De Gregori, Pippo Delbono, Dario Fo, Citto Maselli, Giuseppe Morandi, Marco Paolini, Sandro Portelli, Umberto Orsini, Antonella Talamonti. «Tra loro ci sono molti degli maestri e degli amici con i quali ha collaborato e per i quali si è spesa».
E tra gli incontri della vita della compositrice anche quello con l’autore del libro, avvenuto casualmente tredici anni fa. «L’ho persa di vista per parecchio tempo – ricorda Crespi – e anni dopo sono andato a cercarla per dirle che volevo scrivere su di lei: Giovanna, io vorrei scrivere un libro su di te, le dissi proprio così». Io vorrei, che è il titolo del libro, è anche soprattutto quello di una canzone che l’artista ha scritto nel 2003, una “preghiera laica” a cui Crespi ammette di essere molto legato.