Forse rende più in francese con il titolo Le Redoutable (“Il formidabile”) anziché nella traduzione italiana “Il mio Godard”, anche se quell’aggettivo “mio” fa capire subito che quello che vedrete al cinema, a partire dal 31 ottobre, è il ritratto del grande regista visto con gli occhi di Anne Wiazemesky, sua moglie e più giovane di lui di 20 anni. La pellicola è infatti ispirata al suo libro di memorie Un An Après.
Presentato prima al Festival di Cannes e di recente alla Festa del Cinema di Roma, il film francese è un ritratto di Jean-Luc Godard, regista nato a Parigi nel 1930 e ancora vivente (sebbene tenda a nascondersi). Un ritratto che il cineasta Premio Oscar per The Artist Michel Hazanavicius fa per certi versi in modo affettuoso, per altri ironico, senza mai giudicare, sebbene forse lasci negli occhi di chi si trova al cinema tanti dubbi e interrogativi.
Intendiamoci: almeno a nostro avviso, il film regge e quantomeno interessa, anche chi non ha studiato cinema, non ne è appassionato e non sa chi sia in effetti Godard.
La storia inizia infatti con l’obiettivo puntato sui protagonisti, Godard, interpretato da Louis Garrel (The Dreamers) e la moglie giovanissima Anne, interpretata da Stacy Martin (Nymphomaniac). Quello che appare fin dalle scene iniziali, non è il regista che ha già girato film famosi e di successo come Fino all’ultimo respiro o Due tre cose che so di lei, ma è il regista che gira La Cinese, in cui protagonista è proprio la moglie studentessa/attrice.
I due apparentemente, o almeno inizialmente, sono innamorati e felici. Si ritrovano a discutere di cultura, di cinema, sono, nonostante la differenza d’età, molto in sintonia ma è quando esce il film che qualcosa cambia. Non viene accolto come Godard si sarebbe aspettato – tutt’altro – ed è a partire da questo momento che il regista comincia a entrare in crisi.
Siamo nel ’68 e, come sappiamo, sono gli anni delle lotte operaie, delle lotte studentesche che affascinano sempre più Godard così tanto da fargli abbandonare la carriera di cineasta star e farlo diventare critico verso quel sistema di cui lui stesso fa parte.
Godard rinnega tutto il cinema come borghese così come i suoi capolavori, arrivando al conflitto sia con gli amici registi – tra cui Bernardo Bertolucci interpretato dal sempre bravo Guido Caprino – e pian piano ad allontanarsi sempre più dalla moglie.
Frequenta i collettivi studenteschi – sebbene non riscuota particolare successo -, boicotta il Festival di Cannes, scende in piazza e si ritrova spesso in mezzo durante le cariche della polizia (emblematiche le scene in cui si rompono gli occhiali). Il ’68 è protagonista e porterà il regista a fondare, insieme a un amico giornalista, il Gruppo Dziga Vertov, un collettivo che ribalta la cinematografica tradizionale. Film girati senza copione, senza produzione e in cui le decisioni sono di tutti, attori e registi insieme.
Un film in linea di massima godibile, con un ottimo Louis Garrel, che si cala alla perfezione nei panni di Godard e un’ottima Stacy Martin. A tratti anche divertente – così come voleva il regista – e in alcuni casi anche drammatico, come nel racconto della crisi di coppia e di quella triste scoperta che ci accomuna tutti: quando ci accorgiamo che avevamo idealizzato chi abbiamo accanto.
Oltre a questo è anche coraggioso. Raccontare infatti di un Godard che è ancora in vita e che non si sta facendo più vedere sotto i riflettori e farlo magari davanti a chi lo difende a spada tratta è sicuramente un atto di coraggio e un prestare il fianco a critiche tutt’altro che costruttive.
Di contro, in chi vuole saperne di più sulla sua vita, su quello che succede dopo, o comunque vuole andare più a fondo, lascia un po’ l’amaro in bocca. Ma forse spingerà i più curiosi a vedersi tutta la filmografia del regista francese e capirlo di più, almeno attraverso la sua arte. E comunque non è detto che l’obiettivo del regista non fosse proprio questo: restare in superficie.
Una frase: “Sono solo un attore pessimo che interpreta Godard”.
Voto per noi: 6,5