Il fuoco è la prima immagine che appare in questo ultimo lungometraggio diretto dall’artista pugliese. Nel corso della storia si svelerà la sua valenza simbolica – e non – ma tenetelo a mente perché è un elemento che tornerà alla carica.
Ci troviamo in un quartiere della periferia di Taranto. Durante un’ordinaria rapina, uno dei tre complici, un cinquantenne dall’aria malmessa, Tonino (Sergio Rubini) approfittando della distrazione degli altri due e memore di conti in sospeso, ruba tutto il malloppo e scappa. “Il suo è un gesto di riscatto nei confronti di chi non ha più rispetto del suo lungo e onorato curriculum delinquenziale, macchiato da un fatale errore, che gli è valso l’ignominioso appellativo di Barboncino.
La corsa di Tonino, inseguito dai suoi complici sempre più infuriati, procede verso l’alto, di tetto in tetto fino a raggiungere la terrazza più elevata, oltre la quale c’è lo strapiombo, che lo costringe a cercare rifugio in un vecchio lavatoio. Lì trova uno strano individuo, Renato, (Rocco Papaleo) dall’aspetto eccentrico: porta una piuma d’uccello dietro l’orecchio, sostiene di chiamarsi Cervo Nero, di appartenere alla tribù dei Sioux e aggiunge che il Grande Spirito in persona gli aveva preannunciato l’arrivo dell’Uomo del destino!” (dalla sinossi ufficiale).
Da subito Il grande spirito diverte (merito anche delle inflessioni linguistiche) per poi pian piano toccare altri registri e livelli di profondità. Il duo costituito da Rubini e Papaleo è perfetto nel passarsi la palla nella comicità di situazione (surreale) così come incanta per l’atmosfera magica che i due sanno ricreare. Sembra di provare amplificato il sapore amaro, a tratti malinconico, dell’esistenza. Entrambi comunicano queste emozioni, in particolari momenti, più con lo sguardo e i movimenti (e ognuno con un significato e un background differenti) che a parole. Per una recitazione misurata e intensa si contraddistingue anche Ivana Lotito, bastano pochi frame (con l’obiettivo della macchina da presa che si nasconde, proprio come fa Tonino) per intuire il vissuto con cui deve convivere. A volte non c’è bisogno di esplicitare – tanto più immediatamente – le fragilità e le storie che si celano dietro uomini e donne, accomunati dalla solitudine e dal desiderio di una vita migliore – per se stessi e non solo.
“Quand’ero ragazzino mi piacevano gli indiani perché mio padre mi aveva raccontato che, a differenza di quanto ci insegnavano i film, erano loro le vittime”, aveva dichiarato Rubini nel corso dell’incontro stampa al Bif&st – Bari International Film Festival. “Quando coi miei amici giocavamo ai cowboy incarnavo sempre il pellerossa. Mi piaceva la loro idea del mondo, la tragicità della loro storia. Così ho pensato a un indiano che mi sarebbe piaciuto interpretare, in seguito ne ho parlato a Rocco e ho capito che avrebbe potuto fare con quel personaggio – Cervo Nero – qualcosa che io non sarei riuscito a fare, prima di tutto perché è un comico e i comici riescono a essere profondi come pochi altri. Per il mio film ha messo in campo la sua umanità.
Il grande spirito è una storia di salvezza. Entrambi i personaggi cercano continuamente di arrampicarsi, affrancandosi dal bassofondo e arrivano a vedere il mondo da una prospettiva diversa”.
Questo lungometraggio riesce a essere ora una favola dall’ampio respiro ora un film fortemente realistico, dove non si usano mezzi termini neanche di fronte alle ciminiere (dell’Ilva) che hanno “macchiato” il cielo e tutta l’aria intorno. “Essendo questi personaggi degli indiani, è inevitabile che nelle loro vite piombi la tragedia con gli yankee”, ha spiegato l’attore pugliese, aggiungendo “quale luogo poteva fare da sfondo a una simile situazione? Il quartiere Tamburi di Taranto. A Taranto è capitato ciò che è capitato agli indiani: sono arrivati gli yankee e hanno portato un mostro di ferro che li avvelena. Ricordiamoci che Taranto è la città d’Italia con la maggiore mortalità per il lavoro, e, come gli indiani per sopravvivere dovevano collaborare con gli yankee, così a Taranto per sfamarsi la gente è andata a lavorare all’Ilva”.
Si tratta di un’opera che ha negli attori e nella scrittura (realizzata con Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini) i suoi punti di forza, ma la regia non è da meno, perché asseconda il movimento di salire – e a un tratto scendere, talvolta anche precipitare (e non vogliamo aggiungere altro) – in primis dei protagonisti e di chi gravita attorno.
Nel cast anche Bianca Guaccero, Geno Diana, Alessandro Giallocosta, Totò Onnis, Pierluigi Corallo e tanti altri bravi interpreti. Inconfondibili le musiche di Ludovico Einaudi. Dopo esser stato presentato in anteprima internazionale alla decima edizione del Bif&st , il film è nelle sale dal 9 maggio e vi consigliamo di non mancare all’appuntamento.
Il grande spirito: trailer
Il nostro voto
voto 7,5
La frase
“I bianchi, quelli che hanno costruito la ciminiera”
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