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Da giovedì 24 maggio è in sala Hotel Gagarin (distribuito da Altre Storie) un’opera prima che ci fa riscoprire quanto sia importante il cinema e lo fa attraverso (letteralmente) la magia della Settima Arte.
Hotel Gagarin: la sinossi
Cinque italiani, spiantati e in cerca di un’occasione, vengono mandati a girare un film in Armenia. Appena arrivati scoppia una guerra e il sedicente produttore sparisce con i soldi. Abbandonati all’Hotel Gagarin, isolato nei boschi e circondato dalla neve, trovano il modo di inventarsi un’originale e inaspettata occasione di felicità che non potranno mai dimenticare.
Hotel Gagarin: il regista Simone Spada
Com’è nato questo progetto dopo tanti anni di aiuto-regia?
Nel corso del tempo porti con te tante sensazioni e idee, facendo confluire il cinema che hai amato, quello che hai fatto, ciò che hai letto e vissuto. Non a caso la storia parla di cinema e di persone, anche “marginali”. Si tratta di una commedia malinconica – nell’accezione positiva di questo termine – e in parte politica poiché è la storia di due fallimenti, quello del capitalismo e dell’ex comunismo. Viene messo in scena un precariato che non riguarda soltanto il lavoro, ma anche l’anima.
Nel film si parla di sogni, il professore interpretato da Giuseppe Battiston che aspira a fare il regista, ripensa ai suoi obiettivi (ma non riveliamo oltre)…
La felicità, secondo me, è anche nelle piccole cose. Le nostre ambizioni sono sempre altissime e se non le raggiungiamo diventiamo infelici. La felicità è dentro di noi, è il punto di vista con cui vediamo le cose.
Pensando al suo ruolo di chi fa cinema, quanto si sente responsabile nel far sognare senza illudere?
Non si può sognare senza illudersi un po’, però se lo si fa con consapevolezza va bene. Non mi sento responsabile; io spero che quando si esca dalla visione di questo film ci si senta bene.
Hotel Gagarin: interviste al cast
Claudio, Luca, il regista ha affermato di aver scritto i personaggi pensando a voi come interpreti…
L. Argetero: ognuno di questi personaggi, secondo me, racconta una parte di Simone, è quasi un esercizio di auto-psicoterapia del regista. Io con Sergio non ho alcun punto di contatto se non quello di averlo interpretato.
Ma, quindi, Luca, non hai mai messo da parte i tuoi sogni?
Io vivo un sogno e non ho mai neanche avuto paura di seguirli, altrimenti, da laureato in economia mi sarei affidato alla certezza di una strada già tracciata. Da quando sono andato a Roma per provare a fare l’attore (è originario di Torino, nda) la mia vita è stata un sogno e continua a esserlo. Se mi dovessero chiedere cosa sogni, risponderei che sia esattamente questa.
Vi è mai capitato di vivere un’esperienza di truffa simile a quella che vediamo nel lungometraggio?
C. Amendola: non in questi termini, ma mi è capitato di non essere stato pagato o di aver realizzato un lavoro con la convinzione che un giorno sarebbe stato distribuito e poi ho scoperto, invece, che i diritti non erano stati pagati. Il nostro è un mondo pieno anche di dinamiche particolari. In Hotel Gagarin è Tommaso Ragno a dar volto al produttore, noi abbiamo avuto la fortuna di lavorare con lui l’anno scorso, adesso se ne sono accorti tutti della sua esistenza grazie a ‘Il Miracolo’ (serie tv Sky, scritta da Niccolò Ammaniti). Da sempre ho avuto la possibilità di lavorare accanto ad attori straordinari come lui e ogni tanto qualcuno viene premiato. Esistono centinaia di bravissimi attori che ad un tratto sono costretti a intraprendere un’altra strada e dobbiamo ragionare su questo. Se l’avvento forte della serialità dà la possibilità di lavorare viva Dio, vuol dire che stiamo finalmente aprendo anche noi a un modo di fare il nostro mestiere più valido, moderno, meritocratico e più giusto.
Quali sono state le difficoltà tecnico-logistiche di girare in Armenia?
L. Argentero: storicamente non esistono tanti film girati al grande freddo on in alta montagna perché a -22° le macchine lavorano male e gli stessi attori faticano ad articolare la mandibola.
L’Armenia è anche un Paese che non si presta tanto ad essere associato alla commedia…
C. Amendola: abbiamo avuto modo di assaporare la storia di quel Paese, che è conosciuto soprattutto per il genocidio. Visitando i luoghi abbiamo toccato con mano quanto fossimo in una nazione con una storia importante e questo ti obbliga ad avere rispetto e attenzione; al contempo sei più pronto a capire l’arretratezza che vige lì e come il mondo sia diviso in due, ma le persone sono uguali.
L. Argentero: non ne voglio fare una questione politica, ma i nostri personaggi sono il risultato del fallimento del capitalismo e trovano la loro occasione in un Paese che rappresenta il fallimento del comunismo.
Caterina, tu interpreti una donna che funge da guida per la troupe…
Kira è molto simile a me, silenziosa; in più, non era da sceneggiatura, ma essendo davvero incinta, è un apporto che ho dato al personaggio.
Nel vostro percorso professionale avete mai pensato a “una fuga?”
L. Argentero: sinceramente no, perché dovrei andare in un altro posto quando ci sono delle buone opportunità qui, certo se arriva una produzione americana – come mi è capitato in passato – ben venga.
C. Amendola: io ho avuto l’occasione in passato e inconsciamente ho fatto in modo di non sfruttarla. Ho avuto la fortuna di lavorare tanto da subito e per cui mi son detto: cosa voglio di più?
B. Bobulova: tutti i giorni, per il mio carattere ho bisogno di “fuggire” diventando qualcun altro; in più se si gira all’estero è un’esperienza totalizzante. Personalmente non mi piace viaggiare da turista, ma attraverso il mio lavoro. Nella quotidianità non riesco ad accomodarmi, il cambiamento è la linfa della vita.
C. Shulha: ritengo che per tutti gli attori sia così. Per alcune settimane diventi un’altra persona e vestendo quei panni ti è permesso di fare quello che normalmente non sarebbe possibile.
S. D’Amico: sono una dei pochissimi e rarissimi giovani che non ha alcuna intenzione di abbandonare l’Italia, a cui sono molto legata. Questo lungometraggio è stata una grande opportunità di vedere un Paese che non avrei mai visto altrimenti, sono tornata più responsabilizzata e poi certi incontri con le persone di lì mi hanno aperto il cuore.
Barbora, Caterina, secondo voi la generazione dei 30-40enni di oggi ha abbandonato i propri sogni?
B. Bobulova: sicuramente nella società in cui viviamo sembra tutto a portata di mano, eppure cresce sempre di più il fenomeno dei depressi e delle persone infelici. Forse bisognerebbe compiere un passo indietro, rivalutando qualcosa che può risultare “fuori moda” come andare a vedere un bel film al cinema piuttosto che sul cellulare.
C. Shulha: credo che ci stia rovinando soprattutto l’adagiarci e questo film è stata un’esperienza che mi ha arricchita tantissimo perché lì in Armenia davvero le persone hanno pochissimo eppure sono serene. Noi abbiamo qualsiasi cosa a disposizione e stiamo perdendo il valore delle cose.
Cosa vorreste che arrivasse di questo film?
C. Amendola: il sottotitolo ci piace molto: “se vuoi essere felice fallo”, un invito a fare un passo in avanti, ad alzarsi dal divano e prodigarsi, certo con la consapevolezza che non è semplice. Da soli poi non ce la si fa.
L. Argentero: sono completamente d’accordo.
[aggiunge] Amendola: a settembre ho avuto un infarto e le mie priorità sono mutate, il lavoro era il “dio”, ora non lo è più. Affetti, risate sono passati in primo piano; bisogna arrivare agli obiettivi in un altro modo, non con la rincorsa e l’affanno che, ad esempio, sto male se non si ha un contratto in essere e non perché mi mancano le risorse economiche, ma perché devo essere sempre Claudio Amendola. No, voglio anche essere Claudio e godermi tutto ciò che Claudio Amendola mi regala.C. Shulha: se questo film riesce a far interrogare anche solo un solo spettatore se davvero sta apprezzando tutto ciò che gli sta dando la vita, sarebbe una vittoria.
B. Bobulova: mi piacerebbe che la gente possa uscire dal cinema sollevata, con un’iniezione di ottimismo.
S. D’Amico: io mi auguro che Hotel Gagarin faccia riscoprire che cos’è un sogno, facendo allargare le vedute della fantasia. Oggi la mia generazione e quelle seguenti sognano poco perché con tutte le app insite nel cellulare possono “essere” qualsiasi cosa, attraverso il social puoi raccontare un’immagine di te del come vorresti essere e spero che questo film faccia ricordare che si può sognare. Non avrei fatto questa professione con questo ardore se non fossi guidata dall’immaginazione.