Hamletmachine: la recensione
Bob Wilson rientra tra quegli artisti che non hanno bisogno di presentazioni e la cui cifra è riconoscibilissima sin dall’entrata in sala. Per l’occasione, il Teatro Studio Melato (dov’è stato in scena dal 16 al 20 ottobre 2018) ha mutato la solita conformazione della platea per porre tutti gli spettatori in una posizione frontale (al centro, su gradinata), essenziale per la visione di Hamletmachine. Anche se non si rompe la quarta parete con i “metodi” consoni, il regista ci interpella e mette in scena più di quanto si possa intuire sulla carta.
In proscenio, un uomo in divisa cambia le espressioni della sua maschera; toccherà a lui – di lì a poco – far entrare gli attori, pronti a riflettere più su se stessi che a interpretare un ruolo.
Hamletmachine è considerato il capolavoro del poeta, narratore, drammaturgo e regista Heiner Müller. Innegabilmente sono rintracciabili delle connessioni con la storia e con questioni fortemente sentite dall’autore, come quella dell’intellettuale. Colpisce la struttura ed è importante non arrivare col “preconcetto” della trama lineare. Al classico shakespeariano dell’Amleto vengono sovrapposti versi (citando anche altre opere del Bardo), immagini, situazioni e personaggi che vogliono mostrare ciò che è l’Occidente, toccando anche momenti che richiamano lo straniamento brechtiano.
Una delle peculiarità del regista americano consiste nella capacità di calamitare la concentrazione dello spettatore su ogni singolo movimento. In questo spettacolo, quadro dopo quadro (in totale sono cinque) si cambia la prospettiva rappresentando un’autentica verità, troppo spesso dimenticata: tutto dipende da come si posa lo sguardo, dall’angolazione adottata. Ed è così, che passo dopo passo, sfilano le vittime dell’Occidente (nel tappeto sonoro non mancano i versi da ‘Uccelli’ di Hitchcok) e due dei più grandi personaggi della Storia del Teatro, Amleto e Ofelia, raffigurati come degli archetipi: lui dell’intellettuale che non riesce a far nulla di fronte alle barbarie, lei della donna che sempre sarà sacrificata. Tra Schubert e il tango di Peggy Lee, si assiste a una sorta di danza macabra, le cui suggestioni continuano a lavorare a distanza di giorni, a partire dalla disillusione.
L’albero della raffinata scena è spoglio, tutto sembra congelato, per l’appunto meccanico tanto da ripetere frasi e azioni con regolarità – eppure qualcosa muta. “Io non sono Amleto. Non recito più alcun ruolo. Le mie parole non dicono più nulla”. Le logiche sono sovvertite e noi spettatori come ci rapportiamo di fronte alle “macchine attoriali”? Volutamente lentamente si passa dalle tonalità fredde del blu al bianco, quasi a voler comunicare che una possibilità di conoscenza ancora c’è.
Ci auguriamo che Hamletmachine possa essere ripreso cosicché possiate farne esperienza.
È interessante che Wilson abbia scelto di allestire questo spettacolo con degli studenti, sia la prima volta nel 1986 con quelli della New York University, che oggi, a trentadue anni per la messa in scena italiana con quelli della Silvio d’Amico (Liliana Bottone, Grazia Capraro, Irene Ciani, Gabriele Cicirello, Renato Civello, Francesco Cotroneo, Angelo Galdi, Alice Generali, Adalgisa Manfrida, Paolo Marconi, Eugenio Mastrandrea, Michele Ragno, Camilla Tagliaferri, Luca Vassos, Barbara Venturato). S’intuisce la volontà di tramandare un insegnamento sì tecnico (se pensiamo all’uso del corpo), ma anche di far riflettere i più giovani su ciò che è l’attore.
Progetto Accademia ‘Silvio d’Amico’
I giovani diplomati dell’Accademia D’Arte Drammatica Silvio d’Amico proseguono il percorso con Un ricordo d’inverno (dal 22 al 24 ottobre) e Notturno di donna con ospiti (dal 26 al 28 ottobre). “Un ricordo d’inverno è uno spettacolo che vuole raggiungere ogni tipo di spettatore; una drammaturgia che costruisce innumerevoli ponti col reale provocando sensazioni, sentimenti e riflessioni condivise e condivisibili”, ha dichiarato il regista e drammaturgo Lorenzo Collalti. Interpreti dello spettacolo sono allieve ed allievi diplomati dell’Accademia e la giovane attrice polacca, diplomata alla Ludwik Solski State Drama School di Cracovia, Agnieszka Jania.
Per quanto riguarda, invece, il noto testo di Annibale Ruccello, “il giovane regista Mario Scandale sceglie per la Compagnia dell’Accademia la versione del 1982 del testo di Annibale Ruccello per un originale approccio meta teatrale alla storia di Adriana e della mostruosa nottata in cui scivolerà nella follia, fino a uccidere i propri figli” (dalla nota ufficiale). “L’allestimento rappresenta uno studio del giovane regista Mario Scandale, su una versione non definitiva del testo del drammaturgo napoletano”. “Per questo suo carattere sperimentale” – ha affermato Carlo de Nonno – “sono presenti notevoli differenze di contenuto e di scrittura rispetto alla stesura originale dell’autore, in particolare nel finale e nella scelta di far interpretare a un attore il ruolo femminile di Adriana. La rappresentazione è stata comunque da me autorizzata anche in considerazione del grande impegno profuso da tutta la compagnia, attori e tecnici, e in segno di gratitudine verso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’ per avere ospitato tra le sue realizzazioni un testo del compianto Annibale Ruccello”.
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