Cosa hanno in comune Tom Cruise, John Travolta, Paul Haggis e Jason Beghe?
Sono star di Hollywood, ma soprattutto sono o sono stati per anni seguaci di Scientology, la Chiesa statunitense che dal 1954 raccoglie e diffonde le pratiche ideate dal discusso Ron L. Hubbard, autore del libro di autoaiuto intitolato Dianetics. Quel Ron Hubbard, scrittore di libri di fantascienza, che per i suoi seguaci è stato un genio, per gli altri -compresa la sua seconda moglie Sara- un affabulatore, un uomo dalla fantasia galoppante e dalla personalità irrisolta e violenta (rapì la figlia e passò parte della sua vita come latitante, per sfuggire al fisco) che portò sistematicamente avanti il progetto fondare una religione per arricchirsi, forte del fatto che in America per il primo emendamento le Chiese non posso essere sottoposte a tassazione.
Nel 2008 proprio il premio Oscar Paul Haggis, dopo 35 anni di affiliazione, decide con molto clamore di lasciare Scientology e di raccontare tutti gli inquietanti retroscena della setta al premio Pulitzer Lawrence Wright: il risultato è il libro Il transfuga. Scientology a Hollywood (Adelphi) da cui è stato tratto il documentario di Alex Gibney Going clear: Scientology e la prigione della fede, nelle sale italiane da giovedì 25 giugno.
Gibney racconta la storia di otto ex appartenenti alla Chiesa di Scientology: il cuore del film è costituito dai dettagli scioccanti dei fuoriusciti che descrivono la sistematicità delle violenze perpetrate dai funzionari della Chiesa, compresi gli attuali dirigenti come David Miscavige (nella foto) che ha preso il posto di Hubbard, dopo la morte di quest’ultimo nel 1986.
Scientology, che nel 2005 dichiarava otto milioni di praticanti, è dai più considerata una setta: negli anni, grazie alle consistenti donazioni dei suoi adepti, questa società di facciata esentasse ha accumulato un patrimonio di oltre 3 miliardi di dollari.
Alla base di Scientology c’è infatti l’idea che ognuno dei credenti debba rimuovere i traumi psicologici di questa vita e delle sue vite passate attraverso una serie di sedute di auditing, durante le quali la massa dei pensieri viene misurata da uno strumento chiamato E-meter. Ogni seduta viene condotta da un professionista di Scientology, chiamato auditor, che aiuta il soggetto a confessarsi (segnando accuratamente tutte le paure e i trascorsi del soggetto, che formeranno un dossier da usare contro di lui al bisogno). Hubbard teorizzò l’esistenza di un ponte figurato verso la comprensione del creato, un percorso a tappe rappresentate da diversi gradi di purezza (going clear, appunto) da raggiungere attraverso sedute e corsi con un vero e proprio salatissimo prezzario.
Ma a gettare un’ombra inquietante su questa organizzazione non sono tanto questi esorbitanti costi e le continue pressioni sugli affiliati affinché siano generosi con la Chiesa, quanto la sistematicità delle violenze perpetrate contro coloro la cui fede vacilla. E così, a mano a mano che i 120 minuti del documentario scorrono veloci, si passa dalle risate che ci strappano le farneticazioni di Hubbard sugli alieni allo sconcerto e all’orrore quando scopriamo di camere di segregazione, di istigazioni all’aborto, di bambini strappati alle famiglie per essere indottrinati, dell’obbligo di tagliare tutti i rapporti con amici non credenti, dello stalking e delle minacce nei confronti di chi tenta di ribellarsi.
Presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival 2015 prima di essere trasmesso in televisione negli Stati Uniti, Going Clear: Scientology e la prigione della fede è un film coraggioso che ci mette in guardia sui mostri che può generare il sonno della ragione.
Il nostro voto: 7 e mezzo
Una frase: “Tutto quello che di buono ti succede è merito di Scientology, tutto quello che ti succede di brutto è colpa tua.” (Sylvia “Spanky” Taylor Sarah Goldberg)
Per chi: ancora si stupisce di quanto sia manipolabile l’animo umano.