Tra i nomi presenti nella programmazione del Blue Note, c’è quello di Giulia Malaspina che salirà sul palco domenica 26 maggio a partire dalle ore 21.
Sarà l’occasione per presentare al pubblico italiano i brani dell’album “No more pain”, in uscita venerdì 24 maggio:
«Questo disco è stato un viaggio in tutti i sensi: sono partita da un progetto scolastico fino ad arrivare a un disco prodotto con strumenti elettrici e suoni elettronici. È un disco semplice e puro che rappresenta le varie fasi di stati d’animo che ho provato nel mio percorso. Il messaggio di “No More Pain” è positivo: non bisogna mai arrendersi, anzi dobbiamo credere fino in fondo nei nostri sogni per essere felici»
Ad accompagnarla sul palco ci saranno Luca Meneghello (chitarre), Maxx Furian (batteria), Roberta Brighi (basso) e Jossy Botte (sax e clarinetto).
La nostra intervista a Giulia Malaspina
Com’è nata l’idea di questa copertina?
La copertina di questo album non è un’idea perché la foto non è stata scattata pensando che dovesse rappresentare l’album; non mi curo delle foto o cose simili, preferisco prestare attenzione al contenuto del disco, di quello che c’è dentro.
Ho scelto questa foto semplicemente perché era la più bella che avevo: sono molto naturale e poi c’è questo magnifico labrador.
Alla fine, è andata bene perché rappresenta l’armonia che c’è in questo lavoro.
Ti sei diplomata alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, diretta da Enrico Intra, e poi ha proseguito gli studi al Berklee Collage Of Music di Boston. Perché questa scelta di andare all’estero per perfezionare gli studi?
Il Berklee Collage è un’ottima scuola, è completo, è stato ed è frequentato dalla maggior parte dei grandi musicisti.
Ci sono molte realtà culturali grazie alla presenza di studenti (che vengono da tutto il mondo), quindi, oltre al prestigio della scuola in sé, si ha modo di imparare qualcosa gli uni con gli altri.
In Italia ci sono molte grandi scuole, ma non sono come la Berklee Collage Of Music di Boston; tra le differenze che ho notato c’è l’apertura mentale.
Altre differenze che hai riscontrato tra la scuola italiana e quella americana?
In Italia ci sono ottime scuole, ma purtroppo non hanno le strutture adeguate, diversamente da quelle americane, e le sale prove sono un esempio(non sono attrezzate nel modo giusto).
Inoltre, per uno studente è difficile essere considerato un professionista perchè, nonostante il diploma e gli studi terminati, suonano sottopagati e non con il giusto compenso che meriterebbe un musicista esperto.
In America no: quando ti diplomi al Berklee Collage Of Music di Boston sei ritenuto un vero e proprio musicista, un professionista, ed entri in contatto con una realtà diversa.
Quanto ha influenzato l’esperienza dello studio in America sul tuo modo di fare musica?
Ha influito tanto l’impostazione dei programmi di studio: sono molto avanzati, nessuno va in questa scuola per imparare le basi, ma per perfezionarsi.
Inoltre, i compagni sono tutti studenti di ottimo livello e ti insegnano molto; per esempio ho imparato la musica brasiliana da brasiliani, la salsa da cubani senza prendere un aereo e andare a Cuba o in Brasile perché hai tutto il mondo a disposizione.
Chi sono i pianisti contemporanei a cui fai riferimento e perché.
Mi piace molto la pianista brasiliana Eliane Elias e il suo modo di cantare perché non ha una voce impostata, ma è naturale e semplice.
Mentre di Gerald Clayton il modo di suonare: è un jazzista, però si è molto modernizzato rispetto ad altri che credono di essere ancora negli anni ’60.
Cioè?
Tutto si evolve, per esempio non esiste più lo swing degli anni ’40 ed è giusto che sia così e non si deve giudicare negativamente un artista perché si modernizza.
Oggi ci sono gruppi come gli Snarky Puppy che non sono solo jazz, ma anche fusion, oppure Robert Glasper che usa le tastiere e sintetizzatori.
Il linguaggio è lo stesso, ma cambia quello che c’è intorno.
Questo giudizio negativo, può essere influenzato dalle programmazioni che propongono?
Sì, anche, perché ci sono sempre gli stessi nomi, specialmente nei grandi festival, ma non solo.
C’è anche una differenza di “immagine” perché i jazzisti di oggi ne hanno più cura, hanno canali social; l’importante è avere un bel disco oltre che belle foto, anche se oggi può sembrare più facile il contrario.
Credi che ci sia poca meritocrazia in Italia?
In Italia, forse, è un po’ più evidente, ma la non meritocrazia c’è dappertutto.
Che rapporto hai con i social?
Pessimo, ma ho capito che è sbagliato non aver un buon rapporto con i social perché, in qualche modo, la gente deve conoscerti. È un lavoro che va fatto.
Nel 2014 sei stata tastierista del Berklee Commencement Concert all’Agganis Arena di Boston con ospiti Jimmy Page, Valerie Simpson, Gery Allen e Thara Memory. Com’è stato confrontarti con questi grandi nomi?
Mi sono laureata al Berklee nello stesso giorno di Jimmy Page, infatti era presente al concerto. È stata una bella esperienza, ero molto tranquilla perché le prove erano andate bene.
Sono molto sicura del tuo talento?
Come tutti, ho anche io le mie incertezze, particolarmente sentite durante il periodo in cui ero a Boston.
Al tuo ritorno, come l’hai trovata Milano?
È sempre molto bella e spero di suonare molto nella mia città, ma è un po’ difficile entrare nella nicchia, anche se ho come biglietto da visita il diploma del Berklee Collage.
Inoltre, non ci sono molti posti dove fanno musica dal vivo (contrariamente ci sono molti festival) a parte il Blue Note e altri club.
A proposito del Blue Note, salirai sul suo palco proprio domenica 26 maggio.
Esatto e per l’occasione presenterò al pubblico alcuni brani di No More Pain e Oltre e altri ri-arrangiati come “Estate” (con cui ho vinto il concorso Made in New York – Jazz Competition) di Bruno Martino.
Ad accompagnarmi sul palco saranno Luca Meneghello (chitarre), Maxx Furian (batteria), Roberta Brighi (basso) e Jossy Botte (sax e clarinetto).
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