Ghost in the Shell, il film diretto da Rupert Sanders (Biancaneve e il cacciatore) in uscita il 30 marzo, rappresenta un nuovo capitolo nella travagliata storia delle trasposizioni hollywoodiane di proprietà intellettuali giapponesi. In questo caso si tratta di uno dei franchise più apprezzati in ambito fantascientifico, che al suo interno include un manga, due lungometraggi animati, due serie tv e svariate versione videoludiche.
La sfida affrontata dal cineasta, spalleggiato da Paramount Pictures e Dreamwork, consisteva dunque nel portare su grande schermo un universo narrativo dotato di eccezionale complessità a livello tematico, che d’altro canto dal punto di vista visivo è da sempre annoverato tra le principali ispirazioni di chi si rifa a quel particolare sottogenere della fantascienza noto come cyberpunk.
La trama della nuova versione di Ghost in the Shell, ambientata sempre in un futuro prossimo venturo, vede ancora una volta protagonista la cyborg Mira (interpretata da Scarlett Johansson), una ragazza coinvolta in un attentato terroristico che è stata salvata da morte certa da una multinazionale, non propriamente a fini umanitari. Il suo corpo è infatti andato distrutto, e in un mondo in cui i potenziamenti bionici sono all’ordine del giorno, il suo è il primo caso di un cervello innestato all’interno di un corpo interamente artificiale.
Un anno dopo la sua rinascita, Mira è divenuta Maggiore all’interno della Sezione 9, organizzazione statale antiterrorismo e sua unica famiglia: la donna infatti è priva di ricordi, a parte brevi flash misteriosi, e per ripagare il proprio debito, e trovare una ragione alla propria esistenza, dedica tute le sue energie al lavoro. Il suo principale interrogativo – derivante dall’incapacità di sentirsi parte del mondo e di provare sensazioni ed emozioni – andrà a scontrarsi con l’ultimo caso affidato alla sua divisione investigativa, quello di un terrorista che sembra avere un misterioso legame con lei e che sta prendendo di mira i suoi creatori.
Inevitabilmente, visto il suo grande budget e le ambizioni commerciali che lo sostengono, il Ghost in the Shell hollywoodiano cerca di rivolgersi a un pubblico più ampio possibile, purtroppo perdendosi in una mediocrità difficilmente giustificabile. Il film infatti esibisce uno schizofrenia di intenti e risultati piuttosto rara.
Dal punto di vista contenutistico infatti molti dettagli anche piuttosto complessi vengono lasciati impliciti, alla mercé dell’intelligenza e dell’attenzione dello spettatore. Ma quando si tratta di esprimere ciò che ha da dire, Ghost in the Shell rivela di non avere nessuna fiducia nelle capacità del pubblico: nella prima mezz’ora sono innumerevoli le volte in cui i personaggi secondari di punto in bianco rassicurano il Maggiore, ricordandole che nonostante il suo corpo lei non è un essere artificiale e quindi ricordando che è proprio il dilemma sulla natura della ragazza che dovrebbe essere al centro del film. Condizionale che è d’obbligo, visto che sostanzialmente dopo questi primi spunti e un riconoscimento un po’ goffo tutto il peso si sposti sulla più classica, abusata e arcinota vendetta personale.
Più travagliato il lavoro svolto dal reparto tecnico al servizio di Sanders nella ricostruzione dell’ambientazione futuristica. Anche in questo caso a livello di dettagli il risultato è tutt’altro che disprezzabile, ma nel complesso si fa fatica a percepire quanto si vede su schermo come un mondo vivo e in cui credere, anche perché molte delle suggestioni (pur declinate in modo decoroso) sono prese in prestito da film come Blade Runner, RoboCop e Matrix. Rimangono suggestive sopratutto le scene in cui ambienti reali – gli assembramenti periferici di Hong Kong, per esempio – vengono sporcati ulteriormente da un buon uso degli effetti digitali.
In un film come questo è naturale che gli attori vengano fagocitati dalla storia, e anche in questo caso l’unica che riesce a stagliarsi dallo sfondo è ovviamente la Johansson, purtroppo non servita da dialoghi all’altezza o da uno sviluppo narrativo più equilibrato. L’attrice adotta una recitazione alquanto robotica, priva di sfumature, spostando costantemente il baricentro del corpo in avanti e assumendo pose innaturali: il trucco funziona, anche se a lungo andare viene alla noia.
È interessante però notare come ormai la figura della Johansson sia ormai ricettacolo delle indagini più avanzate del cinema contemporaneo intorno all’evoluzione umana (citiamo l’alieno Under the Skin, il supereroistico Lucy e il ruolo vocale artificiale di Her). Gli altri attori passano dalla prova appassionata ma inutile di Juliette Binoche alla caricatura di se stesso di Takeshi Kitano, che nelle vesti del capo della Sezione 9 parla in giapponese sottotitolato.
Purtroppo anche dove potrebbe risplendere, ovvero nelle scene d’azione, Sanders conferma quanto mostrato in Biancaneve e il cacciatore, ovvero che uno sguardo molto attento alla stilizzazione della scene e alla creazione di atmosfere intriganti non è accompagnato dalla capacità di saper dare dinamicità a sparatorie e combattimenti all’arma bianca, che rimangono inerti e spesso confuse in termini di comprensione di movimenti e collocamento nello spazio dei personaggi (il finale in tal senso, pur apprezzabile dal punto di vista visivo, è disastroso in quanto a soddisfazione delle aspettative).
Poco alla volta il film crolla sotto il peso di ambizioni che non riesce a sostenere – piatte le motivazioni del villain, scarsamente incisive le musiche di un fuoriclasse come Clint Mansell, altalenante il ritmo – e nell’epilogo getta definitivamente la maschera rivelandosi purtroppo per il prodotto d’intrattenimento senz’anima che si prende troppo sul serio: partita con sfumature filosofiche ed esistenzialiste, l’avventura del Maggiore finisce per ricalcare quella del RoboCop di Paul Verhoeven, privata però dell’aspetto satirico e grottesco che rendevano il giocattolone action – scifi uno scheggia impazzita.
Il nostro voto: 5
Una frase: “Tutti quelli che mi stanno intorno si sentono legati a qualcosa. Io no.”
Per chi vuole godersi una ricostruzione immaginifica del futuro senza pensare troppo.