Quando Anton Cechov portò in scena per la prima volta Il gabbiano, nel 1895, fu un insuccesso clamoroso: l’attrice che impersonava Nina fu talmente intimidita dalla reazione del pubblico che perse la voce. Cechov abbandonò la platea e durante gli ultimi due atti rimase dietro le quinte.
Qualche anno dopo, nel 1898, Konstantin Stanislavskij (l’inventore del noto metodo di recitazione) e Vladimir Nemirovič Dančenko, fondatori del Teatro d’Arte a Mosca, misero in scena una nuova versione dell’opera: quella volta fu un trionfo. Oggi Il gabbiano è uno dei testi teatrali più noti del drammaturgo russo, e uno dei più rappresentati in assoluto.
“Gabbiano” che andrà in scena al Piccolo Teatro di Milano, dal 12 al 24 gennaio, è l’adattamento dell’opera di Checov, con la regia di Carmelo Rifici, da luglio direttore della Scuola del Piccolo Teatro intitolata a Luca Ronconi. Gabbiano e non “Il gabbiano” come nell’opera di Checov, perché nell’intenzione del regista l’identificazione con uno dei personaggi non è scontata.
Quale dei personaggi è il gabbiano? Sarà lo spettatore a dirlo: se Trigorin, il famoso scrittore che si interroga sulla necessità o meno di scrivere o Nina una giovane ambiziosa che sogna il successo o ancora Arkadina una donna di successo che non sogna. Tutti personaggi che si specchiano in un lago che mostra la loro misera umanità, in un testo su un’umanità irrisolta, sulla società dello spettacolo, sulla ricchezza e sulla banalità della condizione intellettuale.
“Perché Gabbiano? – Si chiede il regista – È la domanda che continuo a pormi, alla quale non ho risposta. Intanto è un Classico e questo mi permette di lavorare sulla memoria di un testo che ho sempre amato, sul quale ho fatto centinaia di ipotesi, che ogni volta cambiano e si contraddicono. In secondo luogo mi viene da dire che Gabbiano parla di cose che tutti sanno: di rapporti familiari, di conflitti e di delusioni. “Čechov è talmente semplice che fa paura”, diceva Gor’kij. Gabbiano è un testo misterioso: ci mostra un’umanità, una famiglia che non riesce mai ad essere sincera e che, per riuscire a convivere, deve continuamente mentire e immaginarsi di essere qualcosa che non è.”
In Gabbiano tutti si rappresentano, anzi sono tutti ossessionati dalla rappresentazione. Si impegnano a vivere una vita che non è la loro. Non a caso i protagonisti sono attori, scrittori, registi, e l’umanità che gira intorno a loro, fatta di contadini, di lavoratori, non sogna altro che essere attori e scrittori. Ossessione della rappresentazione di sé. I personaggi recitano su un palcoscenico che si specchia in un lago che mostra a sua volta la loro misera umanità e l’incapacità di volare in alto. Il lago li attrae verso il basso.
Lo spettacolo, coprodotto dal LAC, dal Piccolo di Milano e dal Teatro Sociale di Bellinzona, si avvale della scenografia di Margherita Palli: “Lo spazio immateriale che mi ha proposto Carmelo Rifici era intrigante, creare una scenografia che ricorda/evoca i luoghi descritti nel testo senza cadere nel naturalistico , nel romantico. Un pavimento che racconta il lago, un sipario che evoca il teatro, un gabbiano, tanti gabbiani di carta unici elementi reali… si cammina ci si muove su passerelle che evocano i moli sul lago… un lago davanti al teatro”.
Il Gabbiano di Cechov
Regia Carmelo Rifici
Piccolo Teatro Studio Melato
12 – 24 gennaio 2016
Martedì, giovedì e sabato 19.30
Mercoledì e venerdì 20.30
Domenica 16, Lunedì riposo
Domenica 17 gennaio ore 16 e ore 20.30
Sabato 23 gennaio ore 15 e ore 19.30.
Durata: 3 ore compreso intervallo
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro