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La lavagna del bar riporta la data del 9 marzo, con una sfilza di cuori che augurano di rivedersi presto, di tornare alle abitudini banali, come prendere il caffè prima di entrare in ufficio.
Le sedie impilate, il bancone vuoto e il riflesso della vetrata raccontano un senso di immobilità e attesa, per qualcosa che non sappiamo quando finirà.
A raccontarci la quotidianità cristallizzata di Milano è Marco Flores, fotografo freelance.
I suoi scatti, presi mentre è fuori casa con il cane o per andare in farmacia, mostrano la nuova realtà urbana ai tempi del COVID-19: le rive del Naviglio Pavese deserte, tranne per un solitario passante o una donna che porta a spasso il cane; la poltrona di un barbiere vuota, con il bancone così pieno di oggetti, cavi e fili da sembrare la bottega di un elettricista che voleva lavorare comodamente.
Gente che spera.
O sclera
Dall’8 marzo Milano vive chiusa in casa, la metropolitana si è svuotata e i supermercati si sono riempiti. Le priorità di tutti noi sono cambiate: fino a pochi giorni fa quanti sapevano cosa fosse il lievito di birra? Eppure, oggi tutti ne sentono la mancanza.
Sono cambiate le nostre abitudini e i nostri interessi, adattandosi alla reclusione forzata.
C’è chi si rimette in forma e chi invece si lascia andare al grido di “tanto chi mi vede”; c’è la sciura che non rinuncia al trucco e al filo di perle nemmeno per buttare la spazzatura e chi porta fuori il cane in pigiama.
Ci sono tanti milanesi che sperano, sclerano e combattono contro due nemici invisibili: il Coronavirus e la propria mente, che spesso non riesce a vedere una fine a questa situazione.
Le fotografie di Marco Flores parlano di una città che ci sta aspettando, di un mondo che non vede l’ora di lasciarsi tutto alle spalle e ripartire.
Milano non è una città fantasma: l’auditorium La Verdi di Milano suona ancora anche se vuoto, il Naviglio scorre ancora anche senza le centinaia di giovani che affollavano le rive la sera.
Stanno solo aspettando il nostro ritorno.
Milano parla dai balconi: noi ci siamo!
L’ondata di flash mob casalinghi è stata breve, anche se talmente intensa da commuovere artisti e VIP di ogni parte del mondo. I balconi però non si sono svuotati, diventando quasi un simbolo di resistenza.
Molti di noi avevano sottovalutato il proprio balcone, lasciandolo vuoto o usandolo come deposito di oggetti ingombranti che non vogliamo in casa.
Ora improvvisamente quei pochi metri quadri di spazio all’aperto sono diventati un palco, un giardino e una piattaforma dalla quale vedere il mondo e respirare una boccata d’aria, scappando da televisione, computer e smartphone, la Trinità della vita in quarantena.
La macchina fotografica di Flores ha catturato la vita dei milanesi affacciati ai balconi: c’è chi prende il the con il proprio compagno di quarantena, chi lavora all’aperto approfittando del sole, chi stende il bucato e chi semplicemente osserva, aspettando che qualcosa accada.
Sul profilo Instagram del fotografo c’è anche chi non ha rinunciato: chi dal proprio balcone urla a gran voce che quei nemici invisibili non ci avranno, che anche se siamo stanchi e impauriti noi ci siamo.