Un asteroide impatta sulla terra nel versante Nord dell’Oceano Atlantico, il pianeta si sta trasformando progressivamente in una immensa palla di fuoco, cosa faresti? Il regista esordiente Zak Hilditch porta al cinema l’apocalisse nel suo These final hours (nelle sale dal 30 ottobre 2014). Le ultime strazianti 12 ore, ambientate in una desolata Australia, mentre il resto del mondo brucia.
Dodici ore in cui ciascuno, senza un domani, decide come consumare il restante tempo della propria esistenza. Hilditch punta su un thriller pre-apocalittico allucinogeno a tinte fantascientifiche valso il Premio della Critica al Melbourne International Film Festival. Al centro della vicenda c’è il trentenne James (Nathan Phillips) diviso fra la sua fidanzata e la donna che realmente ama, testimone e protagonista in questa baraonda isterica, fra suicidi di massa, omicidi e festini orgiastici “spolverati” di droga, il giovane incapperà nella piccola Rose (Angourie Rice), una bambina alla disperata ricerca del padre.
James non può fare altro che decidere di seguire il suo istinto di essere umano, accompagnare Rose nella sua ricerca, proteggerla fino alla fine, fare i conti con la sua coscienza, una redenzione anche nell’estremo attimo della sua esistenza. These final hours, 12 ore dalla fine è in realtà una visione nichilistica dell’umanità, disillusa e senza mezzi termini che presenta tutta la brutale cattiveria e la bestialità di cui può essere capace.
Complice pathos e commozione, la pellicola affronta una tematica già abbondantemente trattata nel filone catastrofista, con una narrazione del tutto riconoscibile che in parte ne riduce l’impatto e che trae abbondantemente le fila dall’apprezzabile The road di Jhon Hillcoat nel rapporto fra mondo adulto e infanzia. Tuttavia il maggior merito di Hilditch nel riprodurre la dilaniante attesa, è il suo personale approccio, più istintivo, estremo e diretto nell’uso della macchina da presa, l’intenzione è quella di calare lo spettatore nei panni di James, un uomo tutto sommato spaventato, confuso, dibattuto fra sensi di colpa e presa di coscienza.
Dodici ore giocate su 87 minuti che provocano comunque delle riflessioni piuttosto profonde sul senso della vita e sulle cose più importati a cui l’umanità forse dovrebbe prestare ascolto, legata in fin dei conti, ad un fatale destino comune.
Voto per noi: 7