Si fa presto a dire che sta scomparendo un’intera generazione di artisti, tuttavia quando muore qualcuno come Ermanno Olmi non si può non rimanere senza parole.
Il cineasta bergamasco, di quasi 87 anni, si è infatti spento nella notte di domenica a seguito di una malattia che lo affliggeva da tempo: inutile il ricovero d’urgenza presso l’ospedale di Asiago, avvenuto giĂ nella serata di venerdì. Il regista si è addormentato per sempre circondato dalla famiglia, prima di poter essere trasferito a casa come aveva richiesto, in localitĂ contrada Val Giardini di Asiago (in cui viveva da tempo dopo essersi trasferito proprio dalla metropoli meneghina).
Nato nel 1931 a Bergamo nel quartiere di Malpensata, Olmi si era trasferito giovanissimo a Milano, dove frequentò l’Accademia di Arte Drammatica per seguire i corsi di recitazione. In questo periodo il poco piĂą che ventenne Ermanno si divideva tra la Bovisa, dove aveva trovato casa, e l’impiego alla Edison, allora in Cadorna: qui sarebbe emerso il suo interesse per il cinema, prontamente notato dai suoi superiori.
Al giovane Olmi venne quindi affidato l’incarico di girare un gran numero di documentari industriali (ai tempi genere nobile e tutt’altro che “disumano”) con una fedele cinepresa 16 millimetri: tra le tante prove interessanti dell’epoca l’emozionante Il tempo si è fermato, girato sul gelido Adamello e testimonianza della solitudine dei due guardiani di una diga, un anziano esperto e un giovane apprendista.
Da sempre interessato piĂą alle persone comuni che agli eroi, agli umili piĂą che ai vip, alla quotidianitĂ piĂą che all’eccezionalitĂ , inserito un po’ frettolosamente in una sorta di neo-realismo di ritorno insieme a Pasolini, Olmi si fece subito notare nel 1961 con il bellissimo film Il posto, che venne presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ottenne il Premio della critica.
Storia della ricerca di un posto di lavoro nella Milano operosa e piccolo borghese di quegli anni, descritta con affetto e comprensione rara, la pellicola traccia con grande delicatezza l’inserimento del ragazzo Domenico nella realtĂ del boom economico. In azienda il protagonista conosce Antonietta, detta Magalì (Loredana Detto, che terminato il film avrebbe sposato lo stesso regista), e il film segue il doppio binario dell’evoluzione del rapporto tra i due, segnato da silenzi riservati e timidezze, e dell’ingresso di Domenico nella realtĂ impiegatizia.
Tantissimi i riconoscimenti ottenuti nel corso di una carriera esemplare, forse non sempre sostenuta da critica e pubblico ma segnata da una nitida onestĂ di intenti e prioritĂ : dalla Palma d’oro al Festival di Cannes per L’albero degli zoccoli fino al Leone d’oro alla carriera nel 2008, con in mezzo quelli d’argento e d’oro per, rispettivamente, Lunga vita alla signora! e La leggenda del santo bevitore; negli ultimi anni si ricorda il grande successo di pubblico di film come Il mestiere delle armi, lo “scandaloso” Centochiodi e Cantando dietro i paraventi.
Il rapporto di Olmi con la cittĂ di Milano è stato alquanto altalenante, se si pensa alla sorte del documentario Milano ’83, commissionato dalla Rai per un grande progetto sulle capitali europee della cultura. Alla politica non piacque, ricordò lo stesso regista in un’intervista concessa a Giacomo Valtolina per il Corriere, forse perchĂ© quella mostrata era la Milano della fatica del lavoro e non certo la sfolgorante City desiderata: “Era un ritratto diverso da quello che cercavano. […] Non ebbi a che fare con loro, ma so che ne furono insoddisfatti, delusi e contrariati. […] Era la Milano da bere. Nel duplice senso: di rovinarsi la salute e di far bere agli altri la grande bugia del denaro, capace di risolvere tutti i problemi”.
Estremamente critico sui problemi di socialitĂ e sul nervosismo diffuso in una cittĂ tanto attiva e all’avanguardia quanto frenetica e indifferente, Olmi affermava che “Milano deve farsi un enorme esame di coscienza: […] dobbiamo lavorare per una nuova proposta di vita, che non ci faccia piĂą sentire soli”.