Difficile parlare di Elle, il nuovo film di Paul Verhoeven in uscita il 23 marzo nelle sale italiane, senza avere la sensazione di camminare su un sentiero di vetri taglienti. Sì perché la pellicola con protagonista una maestosa Isabelle Huppert prende il via da una scena in grado di respingere immediatamente una parte del suo potenziale pubblico.
Schermo nero, rumori di lotta concitati, gemiti di dolore e grugniti animaleschi, vetri infranti. Un gatto a osservare con indifferenza l’aggressione e lo stupro della sua padrona da parte di uno sconosciuto mascherato. Visto il rigore e il gelo che emana la scena parrebbe di essere in un film di Michael Haneke, ma una volta finito tutto lo shock più grande è il modo in cui la protagonista Michèlle affronta la violenza subita. Ovvero facendosi un bagno, soffiando via quasi giocosamente una nuvola di spuma insanguinata e ordinando del cibo per la cena con il figlio, al quale non rivela assolutamente nulla.
Prende cose il via un film in cui lo spunto thriller lascia spazio al grottesco che si mescola al dramma, il quale spesso e volentieri si fa da parte per presentare una commedia pungente e sarcastica, in grado di scatenare il riso nei momenti meno opportuni. Al centro della scena Michèlle, dal passato traumatico (da cui però rifiuta di farsi definire), attualmente impegnata nella supervisione di un videogame a carattere pornografico, con un amante che è anche il marito della sua migliore amica, alla quale è molto legata, un ex che continua a frequentare, un figlio idiota in procinto di diventare padre e uno stalker, che è anche il suo aggressore, con il quale instaura un rapporto perverso.
A un primo impatto parrebbe difficile provare dell’empatia nei confronti di una protagonista così dura, fredda, risoluta, incapace di esprimere sentimenti che forse neanche possiede, e tuttavia la Huppert (forse davvero l’unica attrice in grado di sostenere un ruolo del genere) è superba nel donare di sfumature al suo personaggio che ne lasciano intravvedere l’ironia tagliante, l’affetto sincero per alcune persone, il fascino esemplare, e una spregiudicatezza tanto agghiacciante quanto onesta.
La sincerità è forse l’elemento chiave per capire Michèlle: in un universo narrativo come quello di Elle in cui tutti mentono, agli altri ma anche a se stessi, la protagonista quando sceglie di celare qualcosa, come la violenza vissuta, lo fa in tutta coscienza e non per trarne un vantaggi; allo stesso tempo però ricerca attivamente e senza scrupoli il proprio piacere e benessere, continua a odiare il padre senza rimorsi, sputa giudizi e sentenze con una vis pari solo al proprio menefreghismo, mantenendosi sempre cristallina nelle proprie intenzioni, fedele a se stessa. Quello di Michelle è un equilibrio che forse non verrà mai additato come esemplare dal punto di vista morale, ma che funziona (verbo che probabilmente le piacerà moltissimo) alla perfezione.
Contrariamente agli sviluppi standard della maggior parte del cinema hollywoodiano, il regista Paul Verhoeven (suoi i discussi Showgirls, Basic Istinct, Starship Troopers, RoboCop) sceglie per la donna un arco narrativo che non prevede un pentimento, o l’approdo alla conversione a uno stile di vita più “accettabile”. Lottando contro tradizione che impone la vincita della norma sull’eccezione, il cineasta mostra in modo impeccabile, con piccoli scarti frutto di una direzione della scena quasi invisibile ma accorta, come la protagonista giunga alla consapevolezza di dover aggiustare leggermente la propria condotta, solo per poter stare un po’ meglio – più comodamente – al mondo e senza ferire inutilmente coloro a cui tiene. Ma non senza aver prima esatto la propria terribile vendetta contro coloro che l’hanno umiliata, offesa o ferita.
Il nostro voto: 8 e mezzo
Una frase: “La vergogna non è un’emozione così forte da impedirci di fare alcunché. Credimi”.
Per chi è interessato a un ritratto insolito di una donna unica, al cinema come nella vita.