Chi è David Bowie? Il più influente degli artisti mai espressi dal poprock inglese, il re della videoarte musicale, il marziano Ziggy Stardust, il Duca Bianco o tutti questi personaggi insieme? Per scoprirlo, arriva al cinema Il 25 e 26 novembre il documentario “David Bowie is…” che ripercorre le tappe di una carriera straordinaria lunga mezzo secolo (1964-2013), in grado di cambiare il volto della musica moderna. Come? L’abbiamo chiesto a Leo Mansueto, caporedattore di Tvn Media Group e autore del libro L’ultimo dei marziani (Caratteri Mobili) nel quale 25 personaggi pop-rock italiani (tra cui Morgan) raccontano il “loro” Bowie, con aneddoti, ricordi personali o con piglio da saggisti.
Leo, qual è il contributo di questo film?
“David Bowie is… documenta con buona approssimazione quello che si può vedere all’omonima e monumentale mostra di oggetti, immagini e memorabilia che lo scorso anno ha registrato oltre 300 mila visitatori al Victoria&Albert Museum di Londra e che dopo Chicago, approderà il marzo prossimo a Parigi. Girato in occasione della serata conclusiva dell’esposizione al V&A, forte della sobria conduzione dei due curatori della mostra, della semplice ed efficace regia di Hamish Hamilton, degli interventi di alcuni nomi del mondo della musica, della scrittura, dello spettacolo e della moda, incuriosisce tanto chi ritiene di conoscere a fondo Bowie quanto chi lo conosce poco”.
Cosa ti è rimasto più impresso?
“Oltre ai filmati più rari e ai costumi di scena, che in questa mostra e in questo film trovano la loro naturale consacrazione, mi hanno molto impressionato i bozzetti del Bowie studente della scuola d’Arte di Bromley e i manoscritti originali di alcune delle sue più celebri canzoni. Come sottolinea Jarvis Cocker dei Pulp nel suo intervento nel film, la sua sembra la calligrafia di un adolescente. L’effetto, per quanto straniante, spoglia il personaggio della sua aura mitica, lo umanizza e lo trasforma in uno di noi. Sopra ogni cosa, comunque, quel che più colpisce e che emerge prepotentemente dagli oggetti e i documenti presentati nel film è l’innata capacità di Bowie di sapere governare ogni aspetto della sua attività artistica, da quello sonoro a quello visuale. Rivedendo i suoi appunti e i suoi disegni originali, sempre ricchi di indizi e idee allo stato embrionale, ci si accorge una volta di più di come abbia sempre avuto un’idea molto chiara di cosa fare e come farlo”.
Quali sono i “periodi” clou nella biografia di Bowie?
“Bowie ha attraversato ben cinque decenni, cambiando continuamente il proprio abito artistico e i suoi codici espressivi, passando da una maschera all’altra. Dal punto di vista discografico il periodo più fitto di pubblicazioni va dal 1969 al 1980 con ben 13 album realizzati in poco più di un decennio. Personalmente ritengo l’album del 1972 ‘The Rise and Fall of Ziggy Stardust‘ e la trilogia berlinese (‘Low‘, ‘Heroes‘, ‘Lodger‘) pubblicata fra il 1977 e il 1979 i punti più alti della sua carriera.
In conclusione, chi è David Bowie per te?
“Non esiste una risposta univoca. Il titolo stesso del film si presta ad essere declinato nei modi più diversi ed esprime bene l’impossibilità di racchiudere Bowie in un’unica definizione. Perché Bowie è l’icona glam, il rock sperimentale, è il giovane mimo alla corte di Lindsay Kemp, è l’uomo caduto sulla Terra, il camaleonte, una voce inimitabile eppure imitatissima, l’emblema dell’artista mosso dal desiderio di evolvere costantemente sia come musicista che come performer annientando il muro che divide l’arte popolare da quella intellettuale e mediando cultura bassa e cultura alta. E l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito…”.
Quale canzone lo rappresenta meglio?
“Anche qui non esiste una risposta univoca. Diciamo che ‘Changes‘, dal suo album del 1971 ‘Hunky Dory‘, è un po’ il manifesto del rapporto di Bowie con il tempo e i mutamenti. Anche ‘Life On Mars?‘, probabilmente la più bella delle ballad del suo repertorio, è un’altra canzone molto rappresentativa dell’immaginario a lui più caro. Quello extraterrestre, che con ‘Space Oddity‘ e ‘Ashes to Ashes‘ lo proietta nello spazio, trasformandolo nell’eterno viaggiatore sempre combattuto fra il desiderio di scoprire nuovi mondi e l’angoscia della lontananza”.
Rivedremo Bowie su un palco?
“Sarà difficile ma ovviamente lo spero. È più probabile, invece, che dopo gli ottimi riscontri ottenuti l’anno scorso con ‘The Next Day‘, ci regali presto un altro album di canzoni inedite”.