Danila Satragno si esibirà giovedì 22 novembre presso il “Club Workness” di Milano con il “Danila Satragno Tri”.
L’occasione è quella della serata “Jazz melodies” in cui omaggerà i grandi della musica jazz, presentandoli al pubblico con un sound europeo.
Con lei sul palco ci saranno Loris Tarantino al pianoforte, Dino Cerruti al contrabbasso e Rudy Cervetto alla batteria.
L’appuntamento è in via A.Maffei, 1, Milano, scala A, secondo piano a partire dalle ore 19.30; l’ingresso è libero, ma con consumazione obbligatoria di 25 euro.
La nostra intervista a Danila Satragno
Cantante, musicista, vocal coach o meglio vocal building, come lei stessa si definisce, Danila Satragno lavora con i grandi nomi della musica italiana.
Qualche esempio? Jovanotti, Giuliano Sangiorgi, Ornella Vanoni, Biagio Antonacci, Arisa, Annalisa, Ghali e Manuel Agnelli, che ha scritto la prefazione del suo ultimo libro “La tua voce”.
Ed è proprio in questo volume che riporta l’elaborazione del metodo VocalCare, utilizzabile da tutti per ogni occasione: dai rapporti di vita quotidiani fino alla performance artistica.
Cos’è Vocal Care?
Qual è il lavoro di un vocal coach? Com’ è stato lavorare con voci così diverse, sia per timbro che per stile?
In tutto il pianeta non esiste una voce uguale all’altra ed è la nostra carta d’identità, non a caso alcuni sistemi di sicurezza sono basati sul riconoscimento vocale.
Il vocal coach, o come preferisco definirmi vocal building, deve adattarsi alle varie timbriche.
Un elemento molto importante è l’udito e avere la capacità di saperlo usare facilità molto perché ti aiuta a capire la vocalità che hai davanti e immaginare un percorso didattico.
Con i big è stata una scuola formativissima perché ti confronti di volta in volta con personalità diverse, generi musicali diversi e, in questo caso, il mio essere musicista mi ha aiutato moltissimo.
La forza del vocal care è quella di riuscire ad adattarsi alla singola voce e ad allenarla senza cambiare la sua essenza, senza perdere l’originalità, che è la cosa più importante.
Si va per obiettivi: allenare una voce come quella di Ornella Vanoni è diverso dal modo in cui ti confronti con quella di Ghali, per esempio.
Che differenza c’è tra il tuo metodo e quello “tradizionale”?
Cambia tutto perché siamo partiti da una ricerca particolare sulla respirazione.
Le risonanze sono trattate in modo completamente diverso, lavoro per registro misto (la co-partecipazione di petto e testa) e gli esercizi non sono solo i soliti vocalizzi.
Per esempio, usiamo dei suoni completamente diversi, delle macchine per riscaldare la muscolatura e integratori speciali per le corde vocali.
Alleniamo la vocalità in un modo diverso da quello che è il processo antico che era possibile nella lirica: ho abbandonato totalmente e sono andata dall’altra parte.
Gli esercizi sono cambiati molto specialmente nella postura, per esempio la posizione della testa: questa va indietro, diversamente dal normale cantante che deve stare diritto col mento basso.
Faccio destabilizzare completamente il fisico per avere la disponibilità muscolare.
Sono andata controcorrente, ma evidentemente ho visto giusto.
Non sei la sola a portare avanti il tuo metodo.
Esatto. Ho voluto riportare l’attenzione a questa figura professionale, non improvvisata.
In Italia non ci sono sistemi di formazione e capita che qualcuno diventa vocal coach solo perché ha una bella voce.
Così ho pensato di inventarne uno e ho sedici replicanti scelti che stanno incominciando ad allenarsi al mio metodo, facendo esperienza anche con i big, così capiscono cosa si deve e come si deve fare.
I criteri della selezione sono stati: un buon orecchio, una buona cultura musicale e una buona disponibilità psicologica perché fondamentale.
All’interno di queste scuole ci sono tanti professionisti, dal foniatra al legale che contribuiscono alla formazione totale di questi futuri vocal bilding.
Le sedi che sono ufficialmente collegate a Vocalcare sono: MDVoice di Daniela Magnani (Via della Pace 4, Lodi Vecchio) e Vocalmente di Elisa Meo (Via Reginato 49, Treviso).
Cosa accomuna i giovani, o per lo meno chi si approccia per la prima volta ad una lezione di canto?
In generale, li accomuna la voglia di farcela e fare in modo che la loro musica venga ascoltata da più persone possibile, esprimere sé stessi appieno.
Adesso con la presenza del web, dello streaming, la loro fantasia è molto stimolata perché la probabilità di successo sono diverse, non c’è più solo un canale, ma mille modi.
Inoltre, conoscono il mio modo di insegnare, perché si informano anche perché ho dato modo di farmi conoscere attraverso i libri e con video tutorial a cui possono accedere.
Questi sono molto importanti perché aiutano ad autonomizzarsi nello studio e nell’autocontrollo e credo che la persona che viene e impara prima o poi deve smettere di venire a lezione.
Un’altra differenza dal metodo tradizionale: devono saper controllare la propria voce, le proprie emozioni.
Poi ci sono le testimonianze dei big che hanno lavorato la loro voce con me e quindi altre fonti di informazioni per chi vuole saperne di più.
Per esempio, Jovanotti ha scritto un’email lunghissima in cui descrive la sua esperienza, Manuel Agnelli ha scritto la prefazione del mio ultimo libro.
Come la influenza il suo essere anche insegnante durante i live? Hai una consapevolezza maggiore, o perlomeno diversa rispetto a chi è soltanto un cantante.
Divento il coach di me stessa e anche io mi alleno e mi controllo nel quotidiano: mi bacchetto sulla disciplina perché per avere una bella voce bisogna essere un’atleta.
Respirare bene, mangiare sano, curarti, fare allenamento è una disciplina, un po’ come un’arte marziale: devi essere sempre dentro a dei parametri importanti per la respirazione e l’intonazione.
Poi sul palco sei in attività e devi avere un fisico allenato, e devi controllare tutte le tue emozioni personali.
Un po’ mi bacchetto, ma alla fine il palco mi è molto familiare per cui sono molto rilassata.
Essere anche insegnante mi ha migliorato anche nella vocalità perché ti alleni tutti i giorni facendo esercizi con i propri alunni.
Per me è una fortuna poter cantare ancora, essere sul pezzo perché rimango allenata, oltre all’emozione e all’adrenalina che sono importantissime per capire l’emotività e tutte le difficoltà che può avere un cantante che assisto.
E alla fine di un bel concerto, che sia mio o di un mio alunno, sono sempre felice.
Tra i vari artisti affermati, a chi consiglieresti il tuo metodo?
Ho sempre pensato che Sting abbia bisogno di un vocal coach perché, nonostante la vocalità di un angelo, non la sfrutta benissimo, per esempio quando canta in italiano.
Probabilmente perché non sa adattare la voce a questo tipo di vocalità.
Durante le prove al Festival di Sanremo ho avuto la possibilità di sentirlo e, quando ci siamo incontrati, mi ha detto “mi piacerebbe molto fare una lezione con un vocal coach italiano”.
Speriamo che si realizzi.
Per quanto riguarda gli artisti italiani, mi viene da pensare ad Emma, ma forse avrebbe “paura” che il mio metodo potrebbe cambiare il suo timbro, e non è così.
Origine ligure, hai studiato a Genova e vivi a Milano: due città con una grande storia e tradizione musicale. Che differenza c’è tra le due scuole?
Ho avuto l’onore di lavorare con il più grande rappresentate della scuola ligure che è Fabrizio De Andrè ed è stato importantissimo perché in quella scuola ho imparato il valore del cantare nella mia lingua.
Ho sempre cantato in inglese e non avevo mai pensato di farlo in italiano, ma Fabrizio mi ha convinta perché cantando con lui ho imparare e scoperto sfumature meravigliose.
La scuola genovese è più etnica, piena di groove, mentre la scuola milanese è più concettuale, più rigorosa.
Sei una cantante jazz. Perché hai scelto proprio questo stile?
Il funambolismo vocale del jazz mi fa impazzire, è proprio nella mia anima: volare tra le note, suoni acuti e non, un esempio di tecnica.
Ho fatto un disco in cui ho rivisitato in chiave jazzistica le più importanti canzoni dei vari Festival di Sanremo, da Caterina Caselli ad Alex Britti.
È un modo per far arrivare questo stile alle persone: ascoltano una melodia già conosciuta, però sentono anche il linguaggio del jazz.
Ho sempre cercato il modo in cui il jazz potesse entrare nell’anima delle persone per cui ho sempre pensato di non dovermi avventurare in situazione troppo manieristiche perché taglierei fuori una fetta di pubblico.
Ci sono progetti in uscita?
Mi piacerebbe catturare le voci dei grandi artisti e traghettarli nel mio linguaggio, per esempio prendere Manuel Agnelli e fargli cantare o un suo brano o un inedito in chiave jazzistica.
A proposito di linguaggio e tecnica: cosa ne pensa di questi nuovi stili un po’ “parlati”?
Il recitar cantando era presente già nel 1500/1600 nella musica classica tradizionale quando si raccontavano i preludi delle arie.
Questi di oggi sono molto simili, solo in una cifra moderna ed è interessantissimo perché c’è lo stesso lavoro che si fa con gli attori.
È un modo di comunicare che dà luce al testo, alla parte concettuale ed è molto comunicativo.
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