“Me so’ capita io”, questo è e resta il mantra di Monica, la coatta della periferia romana interpretata da Paola Cortellesi nel secondo capitolo di Come un gatto in tangenziale, uscito il 26 agosto nelle sale di tutta Italia. Riccardo Milani riprende in mano le storie di Monica e del suo contraltare, il borghese radical chic Giovanni (un bravissimo Antonio Albanese) e ricrea la miscela esplosiva del primo capitolo, con una sferzata di grinta in più.
Come un gatto in tangenziale: ritorno a Coccia di Morto disegna con una linea più marcata la visione del mondo di una coppia durata per l’appunto “come un gatto in tangenziale”, ma destinata a ritrovarsi in circostanze poco gradite a entrambi.
Come un gatto in tangenziale 2: una trama solida e un cast in forma
I sequel non sempre funzionano, a partire proprio dalla trama: cosa devono raccontarci che non hanno già raccontato in un buon primo capitolo? Riccardo Milani scrive e dirige una storia che, pur reiterando i cliché della Roma divisa tra quartieri popolari e borghesi che giocano a risolvere i problemi del mondo, si arricchisce di personaggi, dettagli e tematiche forti, che scavalcano il banale gioco delle parti e raccontano l’interazione di mondi e necessità agli antipodi.
Monica è finita in carcere a causa dello “shopping compulsivo” delle sorelle, le pittoresche gemelle Pamela e Sue Ellen. Per uscire dai guai prima del ritorno del figlio Alessio (Simone de Bianchi) da Londra si decide a contattare Giovanni, che dopo una relazione nata già finita, non sente da tre anni.
Il “pensatore” milanese viene colpito dal fulmine Monica mentre è occupato con un grande progetto culturale dedicato alle periferie, con mostre d’arte contemporanea e “intuizioni gialle” di risotto. Il tutto fomentato dalla presenza di Camilla (Sarah Felberbaum), nuova fiamma di Giovanni.
La soluzione per togliere Monica dagli impicci è presto detta: farle scontare il resto della pena in una comunità cattolica, gestita da Don Davide (Luca Argentero), un parroco estremamente “pio”. Qui i problemi reali della periferia e delle persone più fragili vengono mostrati con la lente della comicità , ma non per questo messi in ridicolo.
Violenza domestica, criminalità organizzata, povertà e occupazione degli alloggi sono solo alcune delle tematiche affrontate dalla coppia male assortita formata da Bastoggi e Roma Nord, rendendo Come un gatto in tangenziale: ritorno a Coccia di Morto un film che non si ferma alla macchietta del romano coatto e del milanese fighetto, ma scava in profondità nella visione semplicistica che i ricchi hanno dei poveri e viceversa.
A incorniciare la vicenda principale un gruppo di personaggi che di secondario hanno ben poco: dalle divertenti e inquietanti gemelle (Valentina e Alessandra Giudicessa, inizialmente sul set come consulenti del primo film, in seguito scritturate perché talmente interessanti da meritare un ruolo) fino a Sergio, ex marito di Monica interpretato da un Claudio Amendola tatuatissimo e con una folta chioma. Senza citare la fantastica seppur brevissima apparizione della mitologica Franca Leosini, compagna di spiaggia di Giovanni sulle rive di Capalbio, così diversa dalla tamarra Coccia di Morto.
Parlare della periferia senza moralismi e retorica
Parlare di periferia italiana non è facile, specie se lo si fa in veste comica. Il tono tragico della denuncia sociale e del reame amaro di Favolacce qui lascia il passo a bassifondi chiassosi e squallidi sì, ma colorati e pieni di vita, dove la gente si tollera ma si sostiene e ha fame non solo di luce elettrica e servizi basilari, ma anche di bellezza.
Monica ripete a Giovanni la tristemente famosa frase che “con la cultura nun se magna”, arrivando lentamente a capire che la cultura non è solo vernissage e finger food, ma la commovente bellezza della Roma notturna, un pianoforte che suona tra le case popolari e uno spettacolo teatrale che parla alla gente.
Come un gatto in tangenziale: ritorno a Coccia di Morto abbandona il moralismo bacchettone e la cupa narrazione dell’abbruttimento senza uscita della periferia, regalando una risata e una lacrima a tutte le persone in sala, dove nel buio non si può distinguere il ministro dal disoccupato, l’abusivo a Centocelle dal proprietario dell’attico con vista Colosseo.