Che il genere biopic abbia sempre particolarmente attratto il regista “surrealista” Burton, lo si è compreso da uno dei suoi precedenti lavori più noti e apprezzati come Ed Wood volendo coniugarlo al femminile ecco Big Eyes, la storia della poco nota pittrice, l’outsider (come la maggior parte dei suoi protagonisti) Margaret Keane.
Stati Uniti anni 50’, una giovane donna con sua figlia decide di scappare dal marito, Margaret Ulbrich (Amy Adams) ha dalla sua il talento innato per la pittura, dipinge bimbi e trovatelli dai grandi occhi: “gli occhi sono lo specchio dell’anima” e per Margaret sono un mix di infantile stupore e vulnerabilità. Margaret è una donna riservata e sensibile, una donna sola con una figlia da crescere, così incontra lo spigliato Walter Keane (Christoph Waltz) intenzionato a (s)fruttarne il talento.
Passata alla storia come una delle più colossali frodi artistiche, Walter si appropria dell’intera produzione artistica di Margaret spacciandola per sua, con il sommesso beneplacito della vera artista. Walter è abile nella vendita, è un bravo imbonitore, con un colpo da maestro, assicurando benessere all’intera famiglia, partecipa a talk show, riesce a commercializzare in massa le opere della neo-moglie, nonostante la forte avversione della critica che giudica i “suoi” lavori al limite del kitsch.
Burton si focalizza in particolare sui tormenti interiori di una donna che vorrebbe affermarsi nell’America a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, Margaret alla fine decidere di combattere e a suo modo diventa una pioniera del movimento femminista scaturito alla fine del decennio. Big Eyes è un film dai colori pastello ed effetto velatamente flou, che nasconde in realtà il fuoco sotto la cenere, meritando una sonora contestazione all’affermazione: “L’arte firmata da donne non vende”. Margaret trova il coraggio di reagire, di guardare fermamente i “grandi occhi” della sua migliore amica, l’anticonformista Dee-Ann (Kristen Ritter) e uscire allo scoperto.
Il film, in uscita nelle sale dal 1 Gennaio, tutto sommato emoziona, nello stile di Burton abbandonati i tipici temi noir, si avverte una sorta di rispetto verso un’artista che intende solo esprimere le sue emozioni e il suo mondo. Ciò che colpisce nelle produzioni del regista è il tocco poetico che avvicina il pubblico a qualsiasi artista intenda portare passione e coraggio al di fuori delle mode correnti. Ottima prova di Amy Adams, capace di tradurre una Margaret sommessamente tragica e convincente nella sua sofferenza interiore, a fare da contraltare c’è un istrionico Christoph Waltz, iniziale simpatica canaglia che sul finale rivela la sua tronfia natura di padre padrone, quasi grottesco nel ruolo di agiato e fraudolento artista naif. Fra denuncia sociale e affermazione personale, Burton ha trovato un giusto equilibrio con uno stile estetico convincente, complice forse il suo personale affetto per la vera Margaret Ulbrich.
Voto per noi: 8