Con Nebraska, delicata commedia on the road in bianco e nero, il regista Alexander Payne ritorna alle proprie origini: sia quelle geografiche sulla Frontier Strip, la linea di confine che divide in due gli Stati Uniti da nord a sud partendo dal Dakota del Nord e finendo in Texas, sia quelle registiche, firmando un film che tanto ricorda A proposito di Schmidt (About Schmidt) del 2002.
Nelle sale italiane dal 16 gennaio, Nebraska racconta la storia del vecchio e scorbutico Woody Grant (Bruce Dern), un meccanico in pensione, alcolizzato, che crede di aver vinto un milione di dollari a un concorso della Mega Sweepstakes Marketing. Non potendo più guidare, l’uomo tenta di fuggire di casa più volte per raggiungere a piedi Lincoln -e si tratta di mille chilometri!- dove è convinto di ritirare il premio.
Esasperato, il figlio David (Will Forte), un lavoro precario e una storia d’amore appena finita, decide di mettersi in viaggio con il padre, dal Montana al Nebraska. I due, perciò, incominciano un’avventura che rafforzerà il loro rapporto e li porterà a riflettere sul passato.
Il logo vintage della Paramount in apertura è una dichiarazione di intenti: dietro dialoghi brillanti, situazioni paradossali e battute memorabili, Alexander Payne si muove sul terreno della memoria, reso accidentato dagli errori e scivoloso dai rimpianti; lo abitano, in una amara riflessione sul sogno americano, personaggi strampalati: la madre sboccata (l’incontenibile, imbarazzante June Squibb), i cugini violenti e irrimediabilmente stupidi, le zie casalinghe, rimaste imprigionate negli anni Cinquanta.
E poi c’è lui: lo straordinario Bruce Dern che per Nebraska ha vinto il premio per la Miglior interpretazione maschile al 66° Festival di Cannes. Ruvido e cocciuto come Warren Schmidt, tenero come Barney Panofsky, Dern riesce a interpretare tutto lo smarrimento di chi non riesce più a trovare il suo posto nel mondo.
L’altro protagonista è il Midwest fatto di paesaggi piatti e innevati che scorrono sotto nuvole basse. Sulle grandi strade nel deserto, percorse da motociclisti e camion, i motel si alternano a grandi cartelloni pubblicitari e bar di provincia, con i loro karaoke. Niente sembra cambiare e in questo immobilismo, del paesaggio come della vita, si annida tutta la tristezza del film.
Poi, quando David chiede al padre per l’ennesima volta il perché di tanta ostinazione nel voler ritirare un premio inesistente, Woody obietta timido: “Ma io volevo lasciarvi qualcosa”. E, allora, il cerchio si chiude e tutto acquista un senso.
Con lo sforzo di trattenere una lacrima di commozione.
Il nostro voto: 7 e mezzo
Una frase: “Bere birra non è bere” (Woody)
Per chi: ama la chimica dei sentimenti