Conoscete la tortura della goccia cinese? Il condannato viene legato a una sedia, mentre dall’alto una goccia d’acqua cade sulla sua testa. Niente di che, inizialmente. Dopo poco tempo però, il lento ripetersi della goccia che cade porta il condannato alla pazzia, al disperato desiderio di fuggire da quella stilla d’acqua che inesorabile scava e scava la sua testa e la sua mente.
Questo è il lento dipanarsi di America Latina, il nuovo film dei fratelli d’Innocenzo, al cinema dal 13 gennaio 2022, dopo essere stato presentato al Festival del cinema di Venezia. Gli autori e registi dell’angosciante Favolacce tornano insieme a Elio Germano per raccontare una storia di discesa nella follia. Un dramma che scava nel suo alienato e alienante protagonista e nello spettatore, legato alla sedia da una forza invisibile e da un tormento che non lascia respiro.
America Latina: raccontare troppo, non raccontare niente
Raccontare anche solo pochi elementi della trama di America Latina toglierebbe allo spettatore quel giusto grado di immedesimazione: a fare tutto è la sorpresa, il dubbio e lo sconforto con il quale si assiste alle azioni del protagonista, determinato a proteggere la sua quotidianità da un evento che ha dell’impossibile.
Elio Germano è Massimo, un dentista di provincia che vive una vita agiata e serena, in compagnia della bellissima moglie e delle due figlie. La sensibilità di Massimo è estrema: piange ascoltando la piccola Ilenia al pianoforte e si commuove davanti all’amore incondizionato della sua famiglia.
Improvvisamente però tutto questo si incrina, si deforma e si distrugge, in una discesa all’inferno lentissima e sofferta per l’uomo, solo a portare un peso indicibile. “America Latina è una fotografia impietosa del maschio, senza voler dare giudizi sul personaggio – spiega Damiano D’Innocenzo – è la mascolinità tossica, di cui siamo vittime e carnefici al tempo stesso, a venir fuori“.
Il campo di battaglia prediletto dai D’Innocenzo è la famiglia, luogo sicuro e allo stesso tempo pozzo senza fondo di orrori nella cronaca di ogni giorno. Il capofamiglia che deve prendere sulla schiena i problemi e portarli lontano, senza turbare la quiete della casa. Massimo però è solo, e l’orrore di ciò che sta nascondendo si fa sempre più pesante, dando il via ai sospetti, alla paranoia e all’autodistruzione.
I fratelli D’Innocenzo si confermano maestri nella regia
La regia di America Latina contribuisce ad accompagnare il senso di claustrofobia della storia, con primissimi piani, rotazione di 90 gradi della telecamera, campi lunghissimi sulla campagna immersa nella nebbia e costruzione delle scene che faranno scuola.
I cinefili più accaniti potranno cogliere omaggi a grandi registi della mente: Ingmar Bergman, Yorgos Lanthimos e Alfred Hitchcock. La casa in cui Massimo abita con la famiglia è straniante; un cubo di cemento che in tempi passati poteva passare come design, con una piscina poco invitante e sporca. All’esterno tutto fa presagire abbandono. Internamente invece fioriscono i colori, le moquette rassicuranti e la musica del grande pianoforte a coda. Unico elemento a rispecchiare l’esterno è la cantina, dove si annida l’orrore.
Con lo scorrere del minutaggio gli interni del film cominciano a somigliare sempre più all’esterno: marciscono, diventano opprimenti e inquietanti, assorbendo gli stati d’animo del protagonista e del segreto che lui e la casa custodiscono. I due fratelli sanno come far parlare gli ambienti, scelti con cura e valorizzati da una fotografia eccellente curata da Paolo Carnera.
A chiudere la pellicola sono tante domande, tante possibili soluzioni che si affastellano nella testa dello spettatore, lasciato frastornato da ciò che ha appena visto. In America Latina si diventa parte attiva del film, condividendo le ansie, le paure e scontrandosi con i gesti dei personaggi. Insomma, più che di un film parliamo di una vera esperienza.