Foto: Rosalba Amorelli
(aggiornamento 6 giugno ore 15.30) Attenzione: per motivi di salute Alessio Lega è stato costretto ad annullare il concerto del 9 giugno, vi terremo informati sulla nuova data appena sarà resa nota
Alessio Lega, classe 1972, giovinezza leccese e un solido radicamento a Milano, la città dove ha scelto di vivere fin dal 1990, è un cantautore indipendente, colto e raffinato. Il suo è un pedigree di impegno e coerenza, sia nella ricerca musicale, che attinge ampiamente alle fonti del mondo popolare, sia sul fronte sociale e politico, dove le sue simpatie vanno com’è noto al movimento anarchico.
Il nuovo disco Mare Nero. Ritratto di un inferno bello mosso (da domani nei negozi e su tutte le piattaforme digitali), con cui Alessio festeggia anche i suoi primi vent’anni di attività professionale, ha però l’aria di un disco “pop” all’interno di un percorso che si colloca esattamene agli antipodi…
“E’ vero. Chi mi conosce e mi segue da anni sa che il mio album precedente, Mala Testa, si legava all’idea del cantastorie nella tradizione della cultura popolare, mentre un altro, Sotto il pavé la spiaggia, era tutto dedicato al repertorio francofono tradotto in italiano. E il disco d’esordio, Resistenza e amore (Targa Tenco per l’Opera prima, ndr), univa il linguaggio della canzone d’autore con l’incedere molto sperimentale di un gruppo di musica indie come i Mariposa, da cui è nata tra l’altro la collaborazione stabile con il musicista e arrangiatore Rocco Marchi. Insomma, tutti progetti molto coesi. Questo disco, invece, è concepito per la prima volta come una raccolta di brani il cui minimo comun denominatore è solo la bontà dei brani stessi, meritevoli (a mio giudizio) di essere pubblicati. Poi naturalmente, non poteva mancare la mia tripartizione classica”.
Sarebbe a dire?
“Canzoni di carattere esistenziale, canzoni d’amore e canzoni a sfondo sociale”.
Da dove viene questo titolo, Mare Nero?
“Da un brano che mi porto dietro da vent’anni ma che non avevo mai inciso, una specie di inno anarchico scritto giocando con ironia sulla retorica delle vecchie canzoni ottocentesche… Ma ovviamente mare nero fa pensare anche a Lucio Battisti e al suo successo più ‘pop’, quella Canzone del sole tanto gettonata ancora oggi sulle spiagge. Un modo, se vogliamo, per strizzare l’occhio a un pubblico diverso da quello che già mi ama e mi segue nei miei circuiti abituali”.
Nel ’97 il passaggio al professionismo. Che facevi prima?
“Prima e durante ho fatto l’impiegato amministrativo: un bel contratto a tempo indeterminato che a un certo punto non ho retto più, a causa i ritmi del lavoro musicale che spesso ti tiene sveglio la notte e mal si concilia con la routine di un ufficio. A 35 anni ho capito che la musica era il mio alcol e preferivo essere un alcolizzato piuttosto che essere infelice in altra maniera. In realtà, prima e in parallelo con la musica, avevo iniziato anche un’altra carriera artistica…”
Di cosa si trattava?
“Fumettista, un mestiere per il quale avevo studiato (presso la Scuola del fumetto di via Savona, ndr) e su cui, per un certo periodo, avevo pensato di voler basare la mia vita”.
Nel tuo carnet ci sono anche frequenti incursioni nel mondo del teatro e in quello dei reading poetici e letterari…
“Grazie alla sua sinteticità e alla capacità di interferire e relazionarsi con altri linguaggi, la canzone mi ha permesso di lavorare spesso con uomini di teatro come Ascanio Celestini o scrittori come Pino Cacucci. Oggi è una delle vie di salvezza del mio lavoro”.
A questo e ai normali concerti si aggiungono i cicli di spettacoli della serie “Un secolo di canzone d’autore” e “Vinili”, in tandem con il pianista e fisarmonicista Guido Baldoni. Come nascono?
“Come antidoto a un fenomeno deprimente per la musica come quello delle cover band, che a loro volta sono una reazione a un altro fenomeno deprimente come il karaoke. Il nostro è un modo di riportare in auge, in maniera consapevole, l’universo della canzone d’autore considerata nel suo complesso, restituendo anche il contesto culturale in cui sono nati i vari De André, Guccini, Jannacci, De Gregori, Bennato… ”.
Sbaglio o nella trama del tuo nuovo disco si nascondono anche due “cover”?
“Beccato… una è una vecchia, bellissima canzone di Dario Fo e Fiorenzo Carpi, “Hanno ammazzato il Mario in bicicletta”, che canto da sempre e oggi suona un po’ come un omaggio postumo alla genialità del grande affabulatore. L’altra è “Fiore di Gaza” di Paolo Pietrangeli”.
“Zolletta”, invece, è un tuo brano dedicato alla memoria del giornalista Enzo Baldoni, padre di Guido, caduto in Iraq tredici anni fa…
“L’ho scritto prima di conoscere Guido. Eseguendolo oggi mi rendo conto di toccare una corda intima, familiare, che non è più solo quella dell’esperienza collettiva della vittima, del martire dell’informazione. Ma mi sembrava importante nell’ottica di un lavoro contro l’oblio che è un po’, se vogliamo, il filo conduttore di Mare Nero…”.
Hai anche tu il classico “sogno nel cassetto”?
“Molti dei miei sogni sono relativi al mio lavoro. Uno di quelli più grossi sarebbe riuscire un giorno a misurarmi con un fenomeno di pop scritto bene per un interprete, magari femminile, che voglia impegnarsi in un disco o in una tournée teatrale. Avere insomma l’occasione di scrivere liberandomi di me stesso come unico interprete delle mie canzoni, libero di sperimentare cose nuove, che altrimenti non farei. L’altro sogno è relativo alla scrittura: fare il salto nella narrazione pura, con un romanzo storico che ho già in mente e mi piacerebbe prima o poi riuscire a pubblicare”.
Lavoro a parte, cosa fai del tuo tempo libero?
“Me ne resta poco ed è assorbito quasi tutto dalla militanza politica che ovviamente, essendo anarchico, faccio in ‘nessun partito’. Tuttavia, appena posso mi dedico con grande diletto alla cucina: oltre ai dischi di vinile e ai libri, di cui sono avido lettore, cercatore e compratore (il Libraccio è stato a lungo la mia seconda casa), è la mia grande passione. Anche lì, però, sono un rompiballe: devo conoscere a menadito la storia di ogni piatto (sono un fan della cucina etnica da tempi non sospetti) e fare di persona la spesa al mercato, che è sempre pieno di gente interessante, super competente”.
Com’è il tuo rapporto con Milano?
“Adoro la mia città d’adozione. E ovviamente ci litigo, per i mille difetti della metropoli e per l’imbuto culturale in cui si è cacciata tradendo spesso i valori della sua grande tradizione… L’ho cantata moltissimo, ce n’è traccia anche in questo disco: in ‘Stazione centrale’, che ne racconta la trasformazione in centro commerciale, con lo svuotamento del senso del viaggiatore, declassato a cliente. E paradossalmente mi sono trovato spesso a cantare molte cose nel suo dialetto, suggerendone le parole agli stessi milanesi Doc. Lecce invece, dove sono nato e ho vissuto fino alla maggiore età, è ‘casa’, la mia culla perduta, la mia origine… ma non il mio destino”.
Da Milano, subito dopo Roma e aspettando la tournée autunnale nei club e nei teatri, parte anche il mini tour di presentazione di Mare Nero…
“Fra pochi giorni, il 9 giugno, saremo in formazione ridotta (io e Rocco Marchi) al circolo Arci La Scighera di via Candiani, alla Bovisa: è il mio luogo milanese del cuore, la casa da cui amo sempre lanciare le mie canzoni nel mondo. Vi aspetto per scoprire insieme tutte e 13 le canzoni dell’album”.