Se ne è andato proprio nel giorno in cui viene assegnato il premio Nobel per la Letteratura 2016, andato proprio quest’anno a un altro artista fuori da etichette e schemi di genere, il cantautore statunitense Bob Dylan. Lui, Dario Fo, che quel riconoscimento, tra la sorpresa e le non poche polemiche, l’aveva vinto nel 1997.
«Perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». Era stata la motivazione dell’Accademia Svedese che aveva scelto di conferire il riconoscimento a lui, giullare impegnato ma anche uomo di letteratura e di arte. Dario Fo se ne va compiuti i 90 anni – era nato a Sangiano, in provincia di Varese, il 24 marzo del 1926 – e a tre anni e pochi mesi dalla morte dell’amatissima moglie e compagna di scena e di battaglie Franca Rame. Ed è lecito immaginare che sarà lì accanto a lei, nel Cimitero Monumentale di Milano, che riposerà.
Dario Fo era ricoverato da un paio di settimane all’Ospedale Sacco. Ma aveva continuato a lavorare – e dipingere – fino all’ultimo. Solo il 22 settembre scorso era uscito il suo ultimo libro per Chiarelettere, Darwin. E solo pochi mesi fa, prima di dedicarsi al padre della teoria dell’evoluzione della specie, aveva voluto invece raccontare il suo rapporto col sacro, con la religione, in Dario e Dio (Guanda), una conversazione a due con la giornalista Giuseppina Manin.
E del resto al sacro di vangeli e testi popolari Fo aveva attinto, alla sua maniera, diverse volte nella sua lunga carriera, come in Lu santo jullare Francesco o Sant’Ambrogio e l’invenzione di Milano.
Fo studiò all’Accademia di Belle Arti di Brera e nel 1950 cominciò a lavorare in Rai. Nel 1954 il matrimonio con Franca Rame e poi la fondazione della compagnia che portava il loro nome. Negli anni ’60 arriva la scelta di recitare in luoghi alternativi al teatro borghese come piazze, case del popolo, fabbriche.
Agli anni 1968-69 risale il capolavoro con cui Dario Fo verrà maggiormente identificato, quel Mistero Buffo che porta per la prima volta in scena il famoso grammelot e la mescolanza di improvvisazioni, Commedia dell’arte e dialetti della Pianura Padana.
Ma di Fo è anche il teatro di impegno sociale, come in Morte accidentale di un anarchico del 1970 ispirata alla vicenda di Giuseppe Pinelli a Milano. Poi, continua una lunga carriera tra produzioni come Johan Padan a la descoverta de le Americhe, L’Anomalo Bicefalo sulle vicende di Silvio Berlusconi, le lauree honoris causa, come alla Sorbona di Parigi e alla Sapienza di Roma. Attraversato il tutto dall’impegno politico, dalla militanza degli anni ’70 alle candidature per il Comune di Milano (dalle primarie nell’Unione alla sua lista civica) fino all’appoggio al Movimento 5 Stelle.
«Il nostro Paese e il mondo intero perdono oggi un artista che per tutta la vita si è battuto contro l’affermazione secondo cui “la cultura dominante è quella della classe dominante” – si legge nella nota diramata dal sito ufficiale di Dario Fo -. Attraverso la sua intera opera Dario Fo ha lavorato affinché le classi sociali che da secoli erano state costrette nell’ignoranza prendessero coscienza del fatto che è il popolo a essere depositario delle radici della propria cultura».
«La scomparsa di Dario Fo ci colpisce nel profondo. Perdiamo uno dei più grandi rappresentanti della letteratura, del teatro e della cultura milanese e italiana. Fo è stato uno dei migliori interpreti della storia del nostro tempo. Milano non dimenticherà i suoi insegnamenti», è stato invece il commento del sindaco di Milano Beppe Sala, che per sabato 15 ottobre ha proclamato una giornata di lutto cittadino.
Questa sera – 13 ottobre – il Piccolo Teatro di Milano renderà omaggio a Dario Fo, attraverso un breve ricordo affidato agli artisti in scena nelle sue tre sale.
Domani, venerdì 14 ottobre, nel foyer del Teatro Strehler sarà allestita la camera ardente, aperta al pubblico dalle ore 12 fino alla mezzanotte. Riaprirà alle 8.30 di sabato 15 ottobre fino al momento in cui Dario Fo verrà trasportato in Piazza Duomo per la cerimonia laica.
«A Dario mi lega una profonda e affettuosa amicizia, che andava oltre la lunga vicinanza professionale. A lui, al suo lavoro che ha attraversato e segnato in modo radicale la storia del teatro e la cultura – questo il ricordo del direttore del Piccolo, Sergio Escobar –. Ma ancor di più, se possibile, alla sua forza di trascinatore di passioni, alla sua ostinazione nel rifiutare di arrendersi alla superficialità, alla sua energia nello smascherare le falsità che rendono opaco questo nostro presente. Lui, sulla scena, risplendeva nel gesto e nella parola che dominava colorandola di mille sfumature e accenti, con sapienza irripetibile.
È morto un grande vecchio che del ragazzo viveva lo sguardo, attento, infinitamente curioso, sarcasticamente e umanissimamente impietoso verso ogni ipocrisia.
Ospitare al Piccolo Teatro, al quale Dario era legato e che ‘frequentava’ da quasi 60 anni e dove solo nel marzo scorso festeggiavamo i suoi 90, e condividerne con la città l’ultimo saluto è un atto, naturale, di affetto verso di lui, verso la gente che lo amava, una volontà della famiglia, che idealmente lo ricongiunge a Franca, la compagna di tutta una vita, che qui abbiamo salutato tre anni fa».
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