A cosa serve la poesia, spettacolo di Gigi Gherzi e Giuseppe Semeraro andato in scena il 16 dicembre al Teatro Atir Ringhiera, non smette di risuonare nella mente anche a distanza di tempo. Un titolo evocativo, una scena nuda, un testo – scritto da Giuseppe Semeraro ed edito da Sensibili alle Foglie – che cerca densità nelle parole e azioni quotidiane.
Due attori-poeti cercano la risposta alla domanda: «A cosa serve la poesia?». Su un palco spoglio, senza artifici scenici, percorrono un viaggio tra azioni di protesta, lo svegliarsi, i momenti di innamoramento e quelli di solitudine. Con le sole parole tracciano la linea di un orizzonte poetico che serva la vita quotidiana, per portarvi profondità, per apprezzarne piccoli gesti, per fornire appiglio a chi è momentaneamente smarrito.
Un canto per la vita quotidiana – come cita il sottotitolo dello spettacolo – che diventa un dialogo col pubblico, una parola generatrice di incontri.
«A che cosa serve la poesia? La poesia serve a far uscire dall’ultimo cassetto il lenzuolo più vecchio, il più bucato. La poesia serve a durare il tempo di una scintilla che abbaglia per sempre lo sguardo. La poesia serve a rendere sogno oggi quello che domani forse sarà concreto». (Giuseppe Semeraro)
«A cosa serve la poesia?», domanda che si riformula in una lista, potenzialmente infinita, di risposte che toccano la parte più intima del cuore. Una ricerca di sogni e solitudini, smarginature e ciambelle riuscite col buco. Una fotografia del presente da cui spuntano il mare di anime migranti, gli orizzonti metropolitani, tavoli da pranzo, le fabbriche e gli sportelli della burocrazia, quelle porte che si chiudono e le finestre che si spalancano. Una domanda popolare, allegra e combattiva, dura e tagliente, semplice senza regalare nuovi adepti alla superficialità.
Nello spettacolo di Gherzi e Semeraro, la poesia esce dai libri e, dal palcoscenico, stringe attori e pubblico in un abbraccio, oggi quanto mai necessario.
A che cosa serve la poesia? La poesia serve a fare il bucato
a stendere i panni, a rifare il letto
a spaccarsi la schiena e le mani
a non fare del ripetere abitudine
a rifare sempre umana la parola. (Giuseppe Semeraro)
Un testo delicato e intenso, che lascia il segno sedimentandosi nel cuore e nella mente degli spettatori. Uno spettacolo che non vuole intrattenere ma chiede di essere masticato, digerito, assorbito e reinterpretato. Una scrittura scenica che comincia sulla carta, approda al palcoscenico e poi esce dai luoghi deputati del teatro per seguire le persone nelle proprie auto, case, uffici.
Uno spettacolo che rispecchia il tratto caratteristico dei due artisti: la ricerca di un teatro povero, senza orpelli, che lasci spazio a una verità nuda. Un messaggio controcorrente che arriva forte e chiaro. Eppure l’equilibrio del vuoto è molto delicato e, forse, più che uno stile, dovrebbe essere una scelta da rimettere in discussione ogni secondo. Durante la replica al Teatro Ringhiera, l’ingresso di una fisarmonica che accompagna la lettura di Arianna Scommegna, arricchisce l’aria senza togliere potere vibrante alle parole. Forse, ogni tanto, non va dimenticato che prendere per mano lo spettatore non vuol dire barare.
A che cosa serve la poesia? La poesia serve a sostare tra noi e lo specchio. La poesia serve a inventare una preghiera, diversa per ogni onda, diversa per ogni respiro, diversa per ogni vita. (Giuseppe Semeraro)