66/67 sono apparentemente soltanto dei numeri, che però racchiudono in sé un mondo, frutto dell’unione vorticosa di due artisti, che non dimenticano di essere in primis delle persone. Classe ’66 Alessio Boni, Classe ’67 Omar Pedrini. “A dividere me e Omar è solo un anno”, spiega il primo, aggiungendo “la fede calcistica e un lembo di acqua: il lago d’Iseo che separa il bresciano dal bergamasco. Non solo, inconsapevolmente io e lui ci siamo scambiati i sogni: io, da piccolo, avrei voluto fare la rockstar, Omar l’attore. Forse i nostri desideri incompiuti ci hanno dato la spinta per creare questo spettacolo”. Dopo l’anteprima al Napoli Teatro Festival, 66/67 è stato voluto come spettacolo di apertura della stagione 2019/2020 del Teatro Menotti.
66/67 Boni Pedrini: recensione
“Quante strade deve percorrere un uomo
prima che lo si possa considerare tale?
E quanti mari deve sorvolare una bianca colomba
prima che possa riposare nella sabbia?
Quante volte i proiettili dovranno fischiare
prima di venir banditi per sempre?
La risposta, amico mio, soffia nel vento”…
È così che prende il via questo viaggio, con le parole incarnate dalla voce di Alessio Boni (testi suoi e di Nina Verdelli), volutamente fuori campo in questo incipit, in cui i musicisti entrano silenziosamente e i versi cominciano a prendere forma nella nostra mente e davanti a noi. È come se dal dietro le quinte, quelle parole così poetiche, venissero soffiate verso la platea, assecondando un mood interno al brano e inducendo lo spettatore di turno all’ascolto.
“How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, ‘n’ how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, ‘n’ how many times must the cannon balls fly
Before they’re forever banned?
The answer, my friend, is blowin’ in the wind,
The answer is blowin’ in the wind”.
Ci si trova così di fronte a ‘Blowin’ in the wind‘ di Bob Dylan. Lo si riascolta eseguito da Pedrini e dall’ottima band che lo accompagna (Stefano Malchiodi alla batteria, Larry Mancini al basso, Carlo Poddighe alle tastiere) e in questo passarsi la palla tra parola detta e cantata, anche un grande classico assume un sapore più profondo e vicino. Dietro 66/67 c’è sì il mondo di Boni e Pedrini, che per gusti e sensibilità hanno scelto i loro brani rappresentativi (certo condivisibili), che diventa il nostro per la capacità così fluida ed empatica di traghettarci in un on the road ideale, con cui si gustano canzoni amate, ma si scopre soprattutto ciò che non si sa.
Forse i super-appassionati di musica saranno al corrente delle vite di questi grandi, di come un abbandono o incontro sbagliato abbia portato a partorire un’opera d’arte in versi e note; ma 66/67 si propone di arrivare e coinvolgere tutti, in un “concerto folle” fino all’esplosione finale di energia. Non è un caso che l’abbigliamento degli artisti in scena sia molto easy, con tratti rock. Ogni barriera è rotta proprio come si vuole abbattere quella linguistica, recuperando il significato e l’origine di ogni parola. Dietro ogni canzone sembra esserci un dolore, una ferita ed è proprio qui il punto di incontro con noi (anche a livello inconscio). Ma, badate bene, in 66/67 si ride e ci si diverte anche molto, Boni misura bene i registri, introducendo con delicatezza il buio provato da Lennon e sottolineando la stranezza e lo spingersi oltre di Bowie (per citare due dei geni che si incontrano per strada).
Boni ama la forma del concertato (perfetto è il connubio con Marcello Prayer nei reading che hanno proposto e continuano a proporre, dalla Merini a Pasolini), gli è consona, sa cavalcarla e ama incontrare l’altro e gli altri attraverso questa forma.
Il bello di questo specifico binomio artistico tra Boni e Pedrini è che i due si accompagnano nei rispettivi ruoli, in silenzio, scambiandosi uno sguardo o facendo da controcanto, in un gioco di toni (complici la voce calda e intensa dell’attore e quella “suadente graffiata” – così definita da Boni – del cantante). Fino al momento conclusivo in cui qualcosa accade (ma non vogliamo svelarla) per ricordare e far rivivere un vate del nostro tempo, ancora troppo poco conosciuto soprattutto dai giovani. Ci riferiamo a Gaber (proprio l’attore bergamasco con Prayer propose nel 2016 ‘Anime in fuga’, dai testi di Gaber e Luporini) e al suo ‘Io non mi sento italiano‘.
Quando le luci si spengono e arriva “the sound of silence”, fa capolino il rimpianto che questo viaggio si sia concluso… perché ancora tante voci – vere e autentiche ancora oggi – si vorrebbero (ri)ascoltare così, quasi fosse la prima volta.
66/67 Boni Pedrini: tournée 2019
– Lumezzane (Bs) 25 ottobre
– Rho (MI) 27 ottobre
– Barletta (BT) 31 ottobre
– Bari 1 novembre
– Nardò (LE) 2 novembre
– Bitonto (BA) 3 novembre
Riassumendo
66/67, dall’1 al 3 ottobre 2019
Teatro Menotti
DURATA: 90’
ORARI: martedì h 20,30, mercoledì h 19,30; giovedì h 20,30
PREZZI: da 32€ a 16,50€