Dominic Toretto e la sua famiglia allargata ritornano in Fast and Furious 8, nuovo capitolo della saga action nelle sale dal 13 aprile. Come sapranno i fan del franchise basato sulle scazzottate e i motori rombanti, la pellicola affidata alla regia di Felix Gary Gray (Giustizia privata, Straigh Outta Compton e The Italian Job) costituisce la prima parte di una trilogia atta a concludere la saga, ma anche una sorta di rinascita dopo il settimo capitolo, segnato dalla dipartita improvvisa dell’attore Paul Walker, che interpretava il personaggio di Bryan.
Naturalmente in Fast and Furious 8 ci sarà spazio per omaggiare ancora una volta il fratello di gare di Vin Diesel (ormai vero padre padrone di una saga in cui l’elemento emotivo è straordinariamente presente, nonostante la natura di mega-blockbuster), ma sarà proprio il concetto centrale di famiglia a essere messo in crisi dalla svolta imprevista di Toretto, anche se solo per essere riaffermato nel finale.
L’inizio del film infatti ci presenta Dom e Letty (Michelle Rodriguez) alle prese con la loro luna di miele a Cuba. Peculiarmente questa sequenza rappresenta l’unico spazio in cui escono fuori le pulsioni machiste che un tempo caratterizzavano la serie (lo sfoggio di fondoschiena femminili e delle gare automobilistiche come prova di forza), ormai completamente convertitasi al culto della coreografia automobilistica di gruppo e al già citato concetto di famiglia allargata.
Dom viene contattato da Cypher, la cyberterrorista con velleità di dominio globale che ha le fattezze glaciali di Charlize Theron, e costretto a passare dalla sua parte, mettendosi contro gli ex compagni di squadra (tra i quali figura il roccioso Hobbs di Dwayne Johnson) e la moglie. Il tutto paradossalmente per salvare un pezzo della sua famiglia. Della partita sarà anche l’ex nemico Deckard Shaw, ovvero Jason Statham.
Inutile proseguire oltre con la trama, che porterà i protagonisti a New York e quindi sino alle distese ghiacciate al largo del Mare artico di Barents, perché si perderebbe il piacere di vedersi dipanare una narrazione che ormai è consapevolmente ricalcata sulle svolte da soap-opera, dove più che la plausibilità a contare sono le reazioni dei personaggi all’imprevedibilità delle sorprese – variamente melodrammatiche o “tamarre” – escogitate dagli sceneggiatori.
Difficile quindi valutare un prodotto come Fast and Furious 8 con gli strumenti della critica accademica. Più adatto come metro di valutazione è invece il grado di esaltazione regalato dal film. A fronte di una narrazione più episodica, che deve fare i conti con un numero di personaggi molto alto (citiamo il Mr. Nobody di Kurt Russell, il nuovo arrivato Scott Eastwood, il terzetto di comprimari formato da Tyrese Gibson, Ludacris e Nathalie Emmanuel, più un cameo spassoso di una lady di ferro del cinema come Helen Mirren), il film preferisce concentrare tutta l’azione in poche ma estese scene d’azione su larga scala.
Dalla gara iniziale a Cuba si passa a un tentativo di evasione di massa in prigione, per poi affrontare un piccolo colpo della banda di Toretto e quindi finire in apoteosi prima con l’imponente inseguimento di Manhattan (in cui centinaia di auto vengono controllate a distanza, con un effetto a metà tra l’apocalisse zombie a quattro ruote e il suicidio di massa in lamiera à la E venne il giorno) e poi l’epica resa dei conti in mezzo al gelo artico con tanto di sommergibile nucleare in grado di sobbalzare neanche fosse dotato di ammortizzatori a molla.
Come si può intuire, prevale come sempre la spettacolarità degli stunt, tanto capaci di lasciare a bocca aperta lo spettatore quanto di farlo ridacchiare per l’assurdità delle premesse e delle conseguenze della scena. Ed è proprio sull’equilibrismo precario su questo crinale che la saga ha fatto la propria fortuna, oltre che sulla capacità non comune di saper mettere in scena i rapporti – elementari e netti quanto si vuole, ma – tra i personaggi tramite le più spericolate manovre a quattro ruote.
Dove Fast and Furious 8 e il regista Gray abdicono è sulla costruzione di una storia avvincente, in cui a mancare è un villain interessante e minaccioso. Il personaggio della Theron, luciferino e spietato il giusto, non ha però nulla da fare sul campo, e i suoi emissari sono marionette senza identità. A rilucere è invece Statham, che ruba la scena in più occasioni ed è protagonista delle migliori scene di lotta corpo a corpo del film, mostrando un carisma e un senso dell’ironia provenienti direttamente dai migliori esempi di cinema di genere degli anni ’80 – ’90.
Se si dovesse infine portare una critica alla direzione complessiva si potrebbe dire che nella messa in scena degli stunt si sacrifica sull’altare dell’effetto e della spettacolarità la leggibilità dell’azione, un connubio certo non semplice ma che era riuscito meravigliosamente al predecessore Justin Lin (regista dei capitoli 3 – 4 – 5 – 6) e molto meno a James Wan (autore dell’episodio precedente). Ma si tratta di piccolezze che poco hanno a che vedere con quel grado di meraviglia e di esaltazione infantile in grado di cogliere gli spettatori disposti a lasciarsi andare all’eccitazione tipica della giostra da luna park.
Il nostro voto: 7,5
Una frase: “Dom! Stai voltando le spalle alla Famiglia?”
Per chi vuole credere che le automobili possano danzare come ballerine dell’Opéra.