Piove ma i bimbi con gli ombrelli colorati non se ne curano, e anzi giocano tra i getti d’acqua delle fontane di una grigia piazza Gae Aulenti di fine ottobre. Chissà se Steve McCurry, passando di qui, ha avuto voglia di fermare la scena in uno dei suoi scatti. Milano gli piace. Peccato per questa giornata di brutto tempo. Lo dice lui stesso, salendo sul palco all’Unicredit Pavilion, insieme a Roberto Cotroneo che è pronto a intervistarlo.
Il fotografo viaggiatore è in Italia per presentare il suo ultimo volume, Il Mondo di Steve McCurry (Mondadori Electa), e il tour lo ha portato anche a Milano, smuovendo il solito interesse del pubblico come sempre accade quando arriva lui. L’incontro inizia alle 11.30 ma gli appassionati sono in coda dalle 7. Molti non ce la fanno a entrare e rimangono fuori, a seguire l’evento sullo schermo. McCurry li saluta e li ringrazia, come fa con le centinaia di persone che riempiono l’auditorium.
Si siede, sul maxischermo cominciano a scorrere alcune delle sue immagini più celebri insieme a quelle degli ultimi libri, come Leggere, una raccolta di immagini che fermano sulla pellicola persone immerse nella lettura, di libri, quotidiani, riviste, in ogni capo del mondo, dal tavolino di un bar alle macerie di una qualche guerra forse lontana da noi.
«Quando hai capito che saresti voluto essere un fotografo?». Non poteva partire che da qui il racconto di una carriera lunga 45 anni. E svela che prima ancora di amare l’obiettivo Steve McCurry ha amato conoscere il mondo. «Dopo le superiori ho preso a viaggiare in Europa e ho capito che avrei voluto farlo per il resto della mia vita. Il problema era come. Ho cominciato a studiare cinematografia ma mi sono reso conto che a quei tempi fare film era molto costoso. Poi con un corso di fotografia ho capito che forse poteva essere quella la strada giusta: macchine più piccole, nessun bisogno di troupe, meno costoso. E ho pensato che forse avevo trovato il modo di vivere senza lavorare». Ride a questa che – spiega – voleva essere una battuta.
Ma non è poi così difficile pensare invece che un fondo di verità ci sia. Più che altro perché poi, come racconta lui stesso, fotografare è diventato così appassionante da essere, in qualche modo, leggero. Anche in luoghi del mondo molto pesanti.
Eppure il fotografo che ha realizzato il suo primo lavoro importante in Afghanistan non ci tiene a fare l’eroe, e ammette senza mezzi termini che «Sì, oggi in Paesi come la Siria o l’Iraq ci sono storie che devono essere raccontate, il mondo deve sapere. Ma oggi non sono io che le posso raccontare. E’ molto duro e faticoso dal punto di vista fisico, e pericoloso».
Il discorso torna spesso sull’Afghanistan, un luogo importante nella sua lunga storia fotografica: «Un Paese bellissimo ma attraversato da un dramma umano, dalla lotta tra vita e morte ma che non ha nulla a che vedere con cosa è giusto e cosa è sbagliato, è una lotta per il controllo».
E poi quello è il Paese della ragazza afghana, la più celebre tra le foto di McCurry, diventata anche copertina del National Geographic. E quando Roberto Cotroneo gli chiede di raccontarne la storia capiamo che spesso l’immaginario romantico e carico di significato che ci costruiamo intorno a icone come questa si sgretoli di fronte a una realtà spesso molto più spoglia e razionale.
«Sarò stato con quella ragazzina forse 5 minuti – racconta -. Eravamo in un campo di profughi in Pakistan. Sono entrato in una tenda che faceva da scuola ai bambini e l’ho vista. Cosa esprimeva quello sguardo? Bellezza, dignità, perseveranza. Ma anche più semplicemente sorpresa, di fronte a me che ero sconosciuto, straniero e vestito in modo strano. Ognuno ha la sua interpretazione. Di fronte a un’immagine puoi pensare delle cose e non importa che siano vere o no».
Scopriamo che altro luogo del cuore di Steve McCurry è il Tibet, con i suoi monasteri «e i vestiti, la musica, l’architettura, quel senso profondo di gente in cerca di un’illuminazione».
Sullo schermo continuano a scorrere le sue foto e mentre parla non resiste alla tentazione di interrompersi e raccontare qualcosa di più della foto di passaggio in quel momento. Si improvvisa un po’, ma soprattutto si capisce che Steve McCurry è uno che ama scoprire il mondo.
L’incontro è arrivato alla fine ma c’è ancora una cosa da fare, il canonico firma-copie. La fila comincia a formarsi, anche questa – ovviamente – lunga. Tra poco a sedersi ritornerà questo signore di 66 anni originario della Pennsylvania, che a guardarlo oggi in giacca e camicia sembra quasi strano immaginarlo in bilico sul finestrino di un treno indiano (per scattare un’altra delle sue foto più famose).
Mentre usciamo ripensiamo a quello che ha detto in sala, cercando di definire cosa significa, per lui, stare dietro l’obiettivo. E non è (solo) una lezione di fotografia: «Viaggiare espone alla meraviglia, all’incontro, alla conoscenza. Il modo migliore di usare il poco tempo che abbiamo in vita è di guardarci intorno e osservare il mondo. E io voglio continuare a farlo».