Quest’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha voluto assumersi anche dei “rischi” e Piuma di Roan Johnson è stato tra questi. L’uso del termine rischio, però, viene indotto dalle logiche e dalle idee che ci si fa dei festival, tanto più se si parla di “mostra d’arte”. Aveva suscitato stupore che il terzo lungometraggio del regista toscano fosse stato selezionato in concorso, come se una commedia, tanto più ben scritta, interpretata e diretta, non possa avere questa chance. Il consiglio che ci sentiamo di darvi è di non farvi influenzare da preconcetti: in fondo, spesso ce lo si dimentica, ma il cinema lo si fa per gli spettatori, per chi davvero ne fruisce e siamo sicuri che Piuma, in sala dal 20 ottobre grazie a Lucky Red, riuscirà a strapparvi sorrisi, ma anche a stringervi il cuore per l’espressività dei suoi interpreti, riuscendo a creare un prezioso confronto generazionale.
Sarà forse scontato dirlo, ma non appena si legge il titolo, senza pensarci neanche per un secondo, viene in mente la leggerezza di una piuma, cifra che Johnson ha dimostrato di saper calibrare e porre in campo sin dai suoi esordi.
Se in Fino a qui tutto bene (2014) veniva messo in scena il limbo degli studenti fuori sede, in Piuma torniamo all’età più vicina ai protagonisti dell’opera prima I primi della lista (2011). Già dalle prime scene si respira una certa spensieratezza e anche quell’umorismo proprio dei toscani.
Ferro (la piacevole scoperta di Luigi Fedele) e Cate (una Blu Yoshimi genuina e naturale nella recitazione) sono due diciottenni come tanti, con le aspirazioni e la voglia di divertirsi di chi vive quegli anni e (in teoria) non ha ancora certi pensieri gravosi. Potrebbe sembrare paradossale eppure alcuni “incidenti” accadono ancora nel 2016, tanto più se non si sa usare il contraccettivo. Cate resta incinta e, mossa quasi da un istinto primordiale, senza pensarci tanto, è abbastanza sicura di voler proseguire la gravidanza anche se non aveva calcolato di diventare madre così presto. Lo sviluppo narrativo (sceneggiatura a cura sempre di Johnson) mostra subito agli spettatori i modi (anche opposti) di reagire da parte dei famigliari appartenenti allo stesso nucleo. La ragazza non ha punti di riferimento e molto probabilmente anche per questa ragione possiede una maturità differente, c’è “solo” un padre Alfredo (un Francesco Colella bravo anche nel rendere le debolezze di quest’uomo), incapace di tenersi un lavoro e, a suo modo, anche sua figlia. Dalla parte di Ferro abbiamo, invece, Franco (Sergio Pierattini) stanco della città e desideroso di tornare nelle campagne toscane, rispecchia appieno l’indole regionale. A controbilanciare ci pensa Carla (una Michela Cescon sempre in parte), forte dei doni della pazienza e del dialogo – e il tono con cui parla già li trasmette. Completano il quadro il nonno del ragazzo Lino (Bruno Squeglia), la giovane cugina Stella (Francesca Turrini) e i tanti compagni-amici di scuola tra cui Patema (il Brando Pacitto fattosi conoscere grazie alla fiction Rai Braccialetti rossi).
Il cinema, ma anche le serie tv, hanno trattato in diverse occasioni l’argomento della gravidanza in giovane età, basti pensare a Juno (2007), in cui una liceale scopriva di essere in dolce attesa dopo il suo primo e unico rapporto sessuale. Vaglierà diverse opzioni fino a quella che le sembrerà più congeniale. Anche in Piuma, seguendo i nove mesi della gravidanza, emergeranno difficoltà e dubbi: un pregio di questo lungometraggio sta proprio nel non aver paura di dire le cose, proponendo battute che potrebbero apparire anche irriverenti, ma fanno parte del sarcasmo toscano. Eppure a dar un respiro leggero ci pensano i giovani che, a differenza degli adulti, non sono ancora impregnati del cinismo a cui ci abituiamo man mano che cresciamo. Si può tentennare, soffrire anche per emozioni o occasioni che senti che hai perso e/o perderai, ma Ferro e Cate riescono a ricordare un guizzo di vita ai loro cari e a chi li guarda e partecipa a quel parto seduto in platea. I due parlano attraverso gli occhi, i gesti e le parole più semplici, ma arrivano dritti al punto, sfiorando il cuore, senza puntare sul registro drammatico, ma abbracciando le sfumature del nostro vivere.
«Si parlerà di Piuma come di una commedia, ma credo sia una definizione un po’ stretta. Ha sicuramente alcuni tratti della nostra grande tradizione della commedia all’italiana, ma se ne stacca anche e forse più decisamente che con i miei due film precedenti. Uno sguardo incantato più che disincantato, uno stile di messa in scena che è quasi contrario alla grammatica usuale, una regia che parte sempre dalla storia. […] Il film rimane attaccato ai personaggi e al loro sviluppo psicologico, e si alza in alcuni momenti più magici in cui la storia vola», ha affermato il regista, o forse sarebbe più fedele dire, metaforicamente, in cui la storia nuota come le paperelle che, smarrite nell’oceano, solcano i mari del mondo.
Molto spesso il termine leggerezza viene usato – erroneamente – come sinonimo di superficialità, ecco, con Piuma ne assaporerete il vero significato.
Voto per noi: 7