Ninna nanna, dorma fiöö / El tö pà el g’ha un sàcch in spala / E’l rampèga in sö la nöcc / Rega la löena de mea fäll ciapà / Prega la stèla de vardà in duvè che’l va / Prega el sentèe de purtàmel a cà
Synfuniia – appena edito da Universal – rappresenta per Davide Van De Sfroos “la libertà, la voglia di cambiare, di accettare un ballo con uno sconosciuto, di accettare questo gioco a 50 anni”. È l’album che raccoglie i suoi successi, riarrangiati dal maestro Vito Lo Re per questa avventura discografica con la Bulgarian National Radio Symphony Orchestra.
Ci sarà l’occasione per ascoltarlo dal vivo a Milano, il 30 e 31 gennaio 2016 al Teatro degli Arcimboldi, dove il cantautore cresciuto a Mezzegra – nel cuore del Lago di Como – sarà per la prima volta senza chitarra, accompagnato dall’Orchestra Sinfolario di 40 elementi. “Ma dopo questo live, il ballo potrà fermarsi qui” racconta il menestrello laghée a Milano Weekend.
Cosa le ha lasciato questo lavoro? Ce n’è già un altro in costruzione?
“Soprattutto una cosa: se volessi mettere più orchestrazione in un futuro album, saprei come fare. Ora però voglio tornare alla dimensione radicale e acustica dei miei inizi, dopo tre dischi di esperimenti”.
E un’esperienza ancora non realizzata?
“Ho sempre amato il cinema, mi piacerebbe mettere qualcosa in pellicola o fare un cameo. Ma il mio sogno è ideare un film strano sul territorio: mi piace molto l’archeologia industriale delle fabbriche dismesse, cerco un regista che accetti la provocazione di filmare la Lombardia che non c’è più, in un mondo post atomico alla Mad Max: qualcosa a metà tra Elmanno Olmi e il cyberpunk”.
Che rapporto ha con Milano e il territorio lombardo?
“Da tre anni sto viaggiando per il documentario Terra e Acqua, abbiamo girato 20 film di un’ora l’uno: dal lago di Como alla Valsassina, da Monza e Brianza a Varese e l’Insubria. Anche a Milano, che per me è sempre stata al contempo lontana e presente a livello immaginifico: c’è soggezione, per il bambino venuto dal paese di mille abitanti, quando arrivi è un’epopea. Ma negli anni si cambia. Amo i Navigli, che andrebbero riaperti, speriamo tornino a funzionare come in passato. C’è una parte meno conosciuta: la campagna inglobata, Monluè e Poasco. Io amo stare a sognare sotto il Duomo, gigantesco monolite gotico mai finito”.
Synfuniia è un album gotico?
“Sì, grazie agli arrangiamenti del maestro Lo Re: pensiamo all’inizio di Grand Hotel, Batman, Yanez, Goga e Magoga goticissima, quasi ossessiva. Ma anche qui c’è il gioco: dell’epico, del paese delle meraviglie”.
Le piace la nuova Milano verticale?
“Quella alla Blade Runner? Sì! Ero stato già affascinato due volte dalla Défence parigina. Resto ammirato come un bambino di fronte alla tecnologia. Ma sotto i grattacieli i disagi sono ancora più stridenti”.
Chi sono i suoi grandi della musica?
“Musica ne ho ascoltata davvero troppa. Oltre a De André e De Gregori, i nuovi Capossela, Mannarino e Cesare Basile che dovrebbe essere più conosciuto. E poi Gaber, che nella scena milanese per me ha rappresentato tanto. Quand’ero giovane per i suoi gesti, i testi scanzonati. Poi è diventato questo grande menestrello sociologico, è stato un punto di riferimento perché ho capito che si poteva raccontare tutto in modo agrodolce. Nei miei spettacoli teatrali c’è sempre questa dimensione: l’ironia, ma non ci si butta via”.
Un luogo all’estero dove sentirsi come nel suo territorio?
“New Orleans, con il suo fiume, le ville, i demoni e i santi, spettri che si sovrappongono”.
Una location da sogno per esibirsi?
“Senza dubbio l’Arena di Verona, tra l’altro conosco molto bene questa città”