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Prima della Scala 2014: Barenboim racconta il suo Fidelio

Marco Valerio 10 anni fa
Foto: SIlvia Lelli

Accolto dall’entusiasmo e dal caloroso applauso del pubblico, Daniel Barenboim ha presentato ieri sera, martedì 25 novembre, nell’Aula Magna dell’Università Cattaolica, il Fidelio, opera inaugurale della stagione scaligera 2014-15.

Il direttore d’orchestra argentino ha dialogato con il critico musicale del Corriere della Sera, Enrico Girardi, in occasione di un incontro ormai diventato tradizione e che si ripete di anno in anno dal 2008.

Ma quest’anno l’incontro con il Maestro ha assunto una coloritura particolare, in quanto la Prima del prossimo 7 dicembre sarà l’ultima diretta da Daniel Barenboim che alla fine dell’anno lascerà Milano e la direzione musicale del Teatro alla Scala dopo dieci anni di straordinari successi. L’incontro con il pubblico (composto da appassionati, studenti e neofiti) è stato quindi l’occasione per salutare e ringraziare un grande Maestro, confidando che si tratti di un arrivederci a presto e non di un addio.

Emozionato ma, come sempre, energico e ammaliante grazie ad una invidiabile dialettica e competenza, Barenboim ha parlato di Fidelio come di un’opera d’amore, un tipo d’amore puro e assoluto. “Spesso Fidelio è letto come un’opera politica, incentrata sul tema della libertà. Certo, c’è anche quello ma questa è, soprattutto, una storia d’amore e di coraggio” – sottolinea Barenboim. “Protagonista è, infatti, una donna pronta a fare tutto, anzi ‘tuttissimo’ pur di liberare il proprio amato”.

Dall’alto della sua decennale esperienza come interprete di Beethoven (celeberrimi i concerti per pianoforte e le sinfonie dirette, l’ultima delle quali, la Nona è andata in scena poche settimane fa a Berlino in occasione del venticinquennale dalla caduta del muro) e Wagner (di cui ha diretto alla Scala la Tetralogia del Nibelungo oltre a Tristano e Isotta e Lohengrin), Barenboim ha parlato anche di come, spesso, si tenda a generalizzare l’opera tedesca, offrendo chiavi di lettura non completamente sbagliate ma fondamentalmente semplicistiche.

È il caso di Tristano” – racconta il Maestro – “che viene letto come un’opera sull’amore, mentre il suo tema centrale è quello della morte, percepibile dalla prima all’ultima nota. L’amore in Wagner è piuttosto nel Lohengrin o nel primo atto de La Valchiria. Così il Fidelio di Beethoven è il dramma di una donna innamorata di suo marito e solo in seconda battuta un’opera sulla libertà”.

Ma che cos’è la libertà al giorno d’oggi? “Non esiste una definizione univoca di libertà. Ognuno ha la sua personale visione. Gli Stati Uniti di George W. Bush volevano addirittura esportare la libertà, ma cosa vuol dire?”. E a supporto di questa sua riflessione, Barenboim legge una definizione di libertà fornita dall’ex presidente americano in un documento sulla sicurezza nazionale: “’Se tu puoi fare qualcosa che altri apprezzano, devi essere in grado di vendergliela. Se altri fanno qualcosa che tu apprezzi, devi essere in grado di comprarla’…evidentemente Bush non ha mai ascoltato Fidelio”.

L’edizione di Fidelio che debutterà al Teatro alla Scala (con la regia di Deborah Warner) il giorno di Sant’Ambrogio presenterà alcune novità. Barenboim ha, infatti, deciso di eliminare la tradizionale ouverture dell’opera scritta da Beethoven in occasione della terza e definitiva stesura del 1814, sostituendola con il preludio composto per la seconda versione di Fidelio, quella del 1806. L’ouverture intitolata Leonora II (il titolo originariamente voluto da Beethoven per l’opera era Leonora o il trionfo dell’amore coniugale) è stata scelta in quanto “l’idea beethoveniana di un’ouverture che contiene i temi e illustra l’opera, era originale: anticipa Wagner”. Usare, quindi, il brano del 1814 sarebbe “come fare un passo indietro, utilizzando una musica bellissima ma slegata dal resto della narrazione”.

Fidelio è l’unica opera lirica composta da Beethoven, un autore spesso considerato ostico ma, proprio per questo, irrimediabilmente affascinante. “Non c’è un altro compositore che utilizza il silenzio, con tutte le sue funzioni e possibilità, come Beethoven – spiega Barenboim -. “Anche in Fidelio, il silenzio è una parte organica della musica. La musica continua anche quando c’è il silenzio. Beethoven autore difficile? Certo! Lui non ha mai scritto nulla per facilitare la vita ai cantanti, è vero, ma questo vale anche per il resto delle sue composizioni: per la scrittura violinistica come per quella pianistica. La scomodità fa parte del suo modo di scrivere musica perchè la musica di Beethoven è ricchissima: c’è tutto, tranne la superficialità”.

Una musica ricca eppure essenziale e diretta, in grado di tendere all’universalità. “Non c’è mai nulla di ornamentale in Beethoven, tutto è funzionale. Credo dipenda dal suo profondo rigore morale. La sua musica ha tutto, ma al contempo è sintetica e concisa. Non c’è mai nulla di superfluo o superficiale, per questo la musica di Beethoven ha una forza intrinseca straordinaria e riesce a parlare a tutti”.

L’incontro si chiude con una nota d’amarezza sul futuro: “Non c’è educazione musicale nelle scuole e la politica non fa nulla per porre rimedio a questa situazione perchè non vede l’importanza della formazione culturale fin dalla tenera età. Questa è la vera tragedia per il futuro della musica”.

“Vorrei essere ottimista” – chiosa Barenboim – “ma è difficile. Manca la volontà politica e non si può aspettare che diventi ministro della Cultura o Primo Ministro un melomane o un amante della musica per incoraggiarne la diffusione. Assurdo, poi, definire la musica classica come elitaria. Se lo è diventata, è solo un effetto di cattive politiche culturali”.

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