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Le voci di dentro: la recensione dello spettacolo diretto da Toni Servillo

Marco Valerio 10 anni fa
Foto: Fabio Esposito

Napoli, 1948. Alberto Saporito, apparecchiatore di feste popolari, accusa i suoi vicini di casa, la famiglia Cimmaruta, di essere i responsabili della morte del suo caro amico Aniello Amitrano.

Con l’aiuto del fratello Carlo, Alberto riesce a incastrare i Cimmaruta e a farli arrestare, annunciando di avere prove schiaccianti che convalidano le sue accuse. Ben presto però Saporito capisce di avere solo sognato il fantomatico omicidio, portando discredito senza apparente motivo sul buon nome di un’onesta famiglia.

Ritirata la denuncia, Alberto viene sospettato dal procuratore della Repubblica di aver ritirato la denuncia solo per paura di ritorsioni, mentre i Cimmaruta si dimostrano stranamente gentili con il loro vicino e si accusano l’un l’altro, non prendendo nemmeno in considerazione l’ipotesi che il delitto denunciato non sia avvenuto.

Alberto non riesce a trovare consolazione nemmeno dai consigli dello zio Nicola, un uomo amareggiato e disilluso che ha scelto di non parlare più, ritenendolo inutile in quanto l’umanità è diventata irrimediabilmente sorda, e che si esprime solamente sparando fuochi d’artificio.

Riproposizione di una delle più celebri e apprezzate commedie di Eduardo De Filippo, l’adattamento de Le voci di dentro curato e diretto da Toni Servillo è tornato al Piccolo Teatro di Milano dopo lo straordinario successo del 2013 e dopo un altrettanto trionfale tour in Italia e all’estero.

Grazie ad una scenografia scarna, essenziale eppure significativamente espressiva, Servillo sottolinea la dimensione sospesa tra realtà e onirismo dell’opera di Eduardo, quadro di un’epoca di miserie morali e meschinità talmente accentuate da travalicare le più pessimistiche aspettative legate alla quotidianità.

Una sorta di incubo ad occhi aperti che riflette dolorosamente sull’inaffidabilità degli uomini e sulla percezione del male come un’entità stabilmente permeata nei tessuti della società e radicata all’interno del nucleo famigliare.

“Un omicidio l’avete messo nell’ordine naturale delle cose. Un assassinio…nel bilancio di famiglia”: così Alberto Saporito rimprovera i suoi vicini cinici e miserabili, vili e sospettosi, innocenti per la scomparsa di Amitrano ma colpevoli di un delitto altrettanto efferato. “La stima, la fiducia reciproca che ci permette di guardarci negli occhi, noi l’abbiamo uccisa. E vi sembra un omicidio da poco?” continua Saporito/Servillo nello splendido monologo conclusivo che tira le somme e dà il senso alla commedia.

L’incomunicabilità, la grettezza d’animo, l’avarizia e la propensione alla prevaricazione hanno generato dei mostri, figure spietate pronte a tutto pur di salvare la pelle, anche disposte a tradire i propri cari. In un mondo dove la violenza è percepita come un ineludibile dato di fatto e in cui la correttezza e il rispetto reciproco sono vezzi ormai fuori moda, forse è il caso di imitare zio Nicola nel suo volontario esilio dalle cose del mondo e dall’espressione verbale, uno strumento ormai considerato superfluo in quanto non c’è nessuno disposto ad ascoltare.

Una delle commedie più belle e amare di Eduardo viene riproposta fedelmente da Toni Servillo che ne conserva lo spirito, pur accentuando la componente più grottesca e surreale ma non per questo stemperandone la carica malinconica e caustica.

L’attore e regista si riserva il ruolo principale cui riesce a donare la stoica dignità di un perdente che continua a lottare nonostante tutto, sebbene ormai si senta stanco e affranto dinnanzi a una battaglia che non può vincere.

L’inquietudine di Alberto Saporito, la sua disillusione e il suo sentirsi estraneo in un mondo di cui non si sente parte trovano sfogo nel sogno, un interregno dove le più recondite e inconfessabili pulsioni dell’animo umano prendono vita e qui dovrebbero rimanere confinate (esemplare in tal senso il sogno descritto in una delle prime scene dalla cameriera Maria): ma così non è, perché i confini tra sogni e realtà sono sempre più labili e anche le più impensabili malefatte ormai sono all’ordine del giorno in una società segnata dalla guerra e da un caos esistenziale lacerante.

Ottima la prova di tutto il cast con l’unica parziale eccezione di Peppe Servillo, ingessato e poco spontaneo nei panni dell’avido e doppiogiochista Carlo Saporito che vede nei guai del fratello una possibilità di guadagno personale.

Si ride, ci si arrabbia e ci si commuove dinnanzi alla struggente forza e attualità di un testo intelligente, profondo e disperato, fotografia di una irreversibile degenerazione della condizione umana dove le fragilità scaturiscono nelle nevrosi e il senso di fratellanza si è ormai perduto in nome di un feroce e esiziale individualismo.

Imperdibile.

Le voci di dentro è in replica al Piccolo Teatro Strehler fino a domenica 7 dicembre.

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